expressioni

VIVERE DI SFIORO

La folla mi piace. La cerco, è la mia compagnia. Viviamo insieme ogni giorno.

Mi sento ricco, tra la folla.

Come un formichiere, lambisco, succhio il nutrimento che mi serve, quello degli sguardi, delle espressioni, della superficie. Il mio nuoto è in orizzontale e il brivido epidermico è la misura della mia vita. Anche le tempie che pulsano, ma questo avviene perché ho la pressione alta.

L’ermeneutica mi crea un incompressibile fastidio: cosa c’è da studiare, da approfondire? La vita è vita, la morte è morte.

Fatta questa distinzione fondamentale, tutto il resto viene di conseguenza. E allora sono vivo e mi guardo mentre vivo senza soffermarmi. Domani c’è un impegno nuovo, una festa nuova, un’angoscia diversa, il caleidoscopio della gente. Vivo di lampi, a volte anche di fulmini che mi annichiliscono.

Penso di vivere per riassunto, come quei reportage televisivi che, in occasione dei Campionati del Mondo di calcio, cercano ciò che appare, la speranza, l’ansia, il sudore, l’esaltazione, il pianto. Naturalmente la vittoria e la sconfitta.

Impegnato a correre, anzi sfiorare, non mi sono mai chiesto realmente chi sono e mi ritraggo davanti al chirurgo dell’anima che vuole tagliare, cucire, collegare. Chi se ne frega. Ho i miei ricordi di gloria. Fu vera gloria? Sorrido di me stesso e non ho posteri in cui sperare, anche perché di me non importa niente a nessuno. Ricambiato.

Non ho mai pensato neanche alla mia morte e, quando per questo qualcuno mi guarda come un alieno e comincia ad assumere un’aria compunta, svicolo e mi limito a ribattere infastidito che sono un superficiale, la vita mi scorre addosso e a volte nemmeno mi bagna la pelle, che me ne importa delle viscere. La vita e la morte, lo ribadisco, quella è l’unica distinzione che conti, e la vita, se vuol essere ricca e variegata, deve essere superficiale, altrimenti non basterebbe.

La musica mi sorprende. Quando ascolto la musica, il mio corpo intero risuona come un gong e produce echi come cerchi nell’acqua che si allargano. E l’amore, l’amore al primo posto, l’amore in ogni modo. Lì la mia vita non è di sfioro. Scherzo, ma solo un poco.

Guardo l’umanità come guardo un quadro, in cerca di emozioni. Ho un approccio visivo con la vita. In questo sono inserito nel mio tempo. L’umanità, continuo spettacolo. E non mi meraviglio molto quando sento che qualcuno fotografa la violenza come l’Assunta dei Frari o le Nevi del Chilimangiaro. È mio fratello. Cosa faccio io? Cerco l’immagine e l’emozione fugace. Perché fugace non significa insignificante. Ci sono sguardi che penetrano più del sesso, ci sono emozioni indicibili che può dare solo un incontro profondo con una sconosciuta che si dissolverà nella nebbia. Un brivido intenso e rarefatto al tempo stesso, sublime e spocchioso, come fare l’amore sulla corda mentre tutti ti guardano, pericoloso come l’attrazione del vuoto. Sarò pazzo.

Vedo la vita che mi passa davanti e include anche me, spettatore dal sangue caldo. Io che darei la vita intera, compreso lo spettacolo, per l’amore.

Mi sforzo di guardare gli uomini, facce che esprimono successo, frustrazione, noia, malattia. Ma inevitabilmente guardo le donne, gli abiti attillati, le gambe slanciate. Alcune no. Alcune tozze e malvestite. Ma non so com’è con le donne, vorrei succhiare la loro anima insieme al corpo. Vorrei nutrirmi della loro estrosa diversità, del loro candore, della loro pretesa spavalderia, della loro pena. E mi piacerebbe, sempre e solo con una donna, vedere un tramonto sul mare, o dirle: mettiti le scarpe basse, partiamo.

Oggi ho visto scorrere davanti a me il solito fiume, con alcune ho fatto l’amore, con altre sono andato in biblioteca, dove si sta in silenzio, con altre ancora ho sentito salire la pressione perché ho condiviso un quadro o un sorriso. Una mi è scivolata accanto per caso, esile, distinta, elegante, una specie di commozione nel viso. Allora ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima. Le ho rivolto la parola, senza avervi diritto, non importuno la gente. Le ho chiesto: sei triste?

E lei mi ha guardato e il suo viso impercettibilmente è cambiato, le sopracciglia si sono contratte, il mento si è raggrinzito e tutta la pelle è diventata come il vetro quando si crepa, con molte piccole rughe, e gli occhi sono diventati rosa, non rossi, di un rosa acceso. Come quando un’attrice recita una scena di dolore e gli spettatori non fiatano e alla fine si guardano con meraviglia, come è stata brava! Perché è facile recitare il delirio o la disperazione o la gioia sguaiata, ma il pianto contenuto, la commozione che non cede, le lacrime che esitano a spuntare come se dovessero varcare un muro di cemento, quello è difficile. E la donna questa mattina è stata ancora più brava, perché non recitava. Una meraviglia di spettacolo. La guardavo a bocca aperta e poi all’improvviso mi ha colto un disagio maligno e un brivido non di superficie mi ha percorso come se tremasse il mio sangue, il mio cuore, il mio sesso e le mie ossa. Mi sono detto: oddio e ora cosa faccio? Cosa faccio se lei piange e io tremo? Dov’è lo spettacolo?

Per  fortuna si è allontanata nel gruppo che camminava con lei e io non ne ho saputo più nulla.

Non ne saprò più nulla. Forse è stata la mia immaginazione, io vivo delle storie della mia mente, ma non faccio altro che pensare a lei. Penso che avrei voluto tenerle la mano e anche andare a letto con lei, certo, e succhiarle il corpo e l’anima, come ho fatto con tutte le donne che ho amato. Ma penso che con lei sarebbe stato diverso. Con lei mi sarebbe piaciuto fermarmi su quella linea di demarcazione che separa la vita dal buio eterno. L’unica separazione che abbia importanza.

Ma forse sto diventando vecchio, e comincio a vaneggiare.   

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com

VIVERE DI SFIOROultima modifica: 2020-09-05T11:44:58+02:00da
Reposta per primo quest’articolo