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PENSIERI DA LOCKDOWN 2

MONOLOGO SETTEMBRE 2020

di Anna Murabito

Grey suite. Mi ritorna in mente questo titolo adatto al brano di uno scrittore. Tutta la vita sembra diventata una grey suite, un mondo dai margini stanchi, gesti proibiti, rapporti dilavati. Sono permessi gli sguardi, a distanza. Percorsi obbligati, ansie oblique. Far finta di niente, ma improvvisamente ogni uomo che incontri è un nemico. Ci si abitua a tutto. Di sabato e di domenica è più facile. Ma i lunedì sono tremendi. Già i rumori: martelli pneumatici, motori, motoseghe. Le motoseghe tagliano sempre qualche albero, di lunedì, e a volte l’agonia dura tutto il giorno. Ristrutturazioni edili, il meccanico in fondo alla strada, il trasloco alle sei del mattino.

Tutto questo fervore truculento e infelice mi insegue come un dovere incompiuto, si fa sentire nello stomaco, come una fame inappagata e insieme un sentimento di nausea. Oso trascurare la concretezza. Che però si vendica e fa valere il suo spessore. Lo spazio si restringe nella mente e molti pensieri si accavallano, si spingono, si avvitano: la festa, così esile, è finita. E i pensieri sono plotoni di esecuzione. Alcuni arrivano come treni in corsa.   

Dicevo ieri, per sorridere, che devo avere il centro del linguaggio sregolato. È un continuo tramestio di parole, giovani vigorosi calpestano l’uva con i calzoni svoltati fino al polpaccio – una stampa di maniera – e si sente l’odore del mosto fermentato, che può rendere pazzi (come si dice in Francia del Muscadet) prima ancora di diventare vino. Ma forse è la mente intera ad aver bisogno di una doccia fredda, elabora immagini, subisce attacchi da nemici interni. Marciano, a capo chino, le note basse dello scontento declinato in mille forme. Qualche agguato esterno: un quartetto di Schumann, i poeti (“un altro anno è passato, senza un lamento”). Scarti. Ridondanze. Anche deviazioni fiorite.

Oggi è lunedì. La plastica, stasera devo buttare la plastica. E anche l’“umido”, con i moscerini che impazzavano dentro il sacchetto. Adesso sono ben chiusi. Stanno morendo soffocati. Ed io sono caduta in mare, precipitata da un’imbarcazione dalle sponde troppo alte. Devo preparare i documenti per domani. Una mosca col bicchiere di vetro sopra la testa: invalicabile. Non posso uscire.  Si chiama angoscia? Non è più di moda, come le poesie, come il cervello (sei troppo legata al cervello), come le braccia aperte (chi ti ha chiesto di amarmi?). Devo cercare su internet. È lì che si trova tutto.

Inesorabili lunedì. Insuperabili come il bicchiere di vetro. Pensieri sabbiosi. Odore di candele spente. Cosa devo fare? Se faccio revisionare l’automobile mi metto in regola con le scadenze, ma devo subire il fiato di un ignoto tecnico che “usa i guanti da lavoro” così mi ha detto e usa anche la mascherina, se uno glielo chiede gentilmente e ripetutamente. Se poi, durante il lavoro, la fa calare sotto il naso, “devo respirare, signora”. L’angoscia esistenziale si nutre di chimica, la fantascienza racconta l’ansimo. Lamine di metallo nella grey suite.

Di lunedì è peggio. Lunedì giusti, coerenti, con la pioggia e un’afa fuori misura e fuori tempo. Sudore misto a ragnatele. Il porto è una poltiglia fangosa, un deposito di carta macerata. Nelle strade scorrono povere lucciole a quattro ruote semiannegate e la “Montagna” si è suicidata buttandosi nel suo stesso fuoco. Al suo posto un cielo nero, strappato dai lampi. Lunedì inesorabili, affliggenti. Forse perché ascolto “Rosamunde”. “Voglio qualcosa per coprire un’anima dolente, anche un setaccio”. Così avrebbe detto Garcia Lorca. Forse. Ci metto virgolette immaginarie, arbitrarie. Presuntuose.

I poeti. Vedo le ombre dei poeti posarsi sulla rosa e sulla fiamma, sulla cresta dell’onda e sulla luna bianca. Io non sono un poeta, ho solo il centro del linguaggio mal regolato, frastagliato, ricolmo, indolenzito, gioco con le immagini e le parole e vedo la mia ombra confondersi col buio, entrare nel silenzio, strisciare sui muri a secco della vita. Sono immagini, ma ho le dita scorticate. E mi tormenta anche questo vagare insulso della mente, guitto disonesto travestito di profondità.

Domani andrà meglio. Sarà martedì. Intanto stasera butto la spazzatura, è la sera della plastica. Ho già preparato i documenti, basta rigovernare ed è fatta. Poi un grande telefilm, un documentario sui pinguini che muoiono di freddo. Il sacchetto dell’umido pieno di moscerini sul balcone ha ricevuto un intero nubifragio ed è zuppo d’acqua piovana. Lo lascio lì, lo butto domani. I moscerini si muovono ancora ma l’agonia dell’albero è finita.

Domani sarà martedì. Io sono fortunata a non avere freddo come i pinguini. E nel resto della settimana andrà sempre meglio. Giovedì è già quasi festa. Dovrò scrivere un paio di poesie su tutta questa pena indistinta eppure pungente. La nebbia può pungere? Nelle poesie tutto è possibile. Sei troppo legata al cervello.

E poi avanti, fino alla fine. Altri lunedì, altre feste. Altra plastica, altra carta. Non dimenticare gli indifferenziati. Non dimenticare gli amici, un sorriso, uno scherzo. Io scherzo sempre. Il silenzio stride nel mio cuore come un uccello ferito. Continuo a rincorrere l’amore nei suoi nascondigli. Che devo fare della mia vita? Devo fare la revisione dell’automobile, ecco cosa devo fare. E telefonare all’osteopata per il mal di schiena. Avanti, fino alla fine. Andrà tutto bene. E pagare la Tari entro la scadenza. La jacaranda è così alta, ormai. La sera emette un odore di orina stantia. Ma è verde, vestita d’orgoglio, anche senza fiori, ed ha le braccia aperte. Nessuno le dice di chiuderle. Andrà tutto bene. Respira, respira. Guardami. Andrà tutto bene. Un grande telefilm. Un giorno qualunque. Cadrà una pietra nel silenzio.

Forse meglio “Il deserto nutrirà il silenzio”? C’è quella del grammatico che disse: “Me ne vado, ma si può dire anche ‘me ne vo’”. Però non è adatta ai miei pensieri grigi.

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com

PENSIERI DA LOCKDOWN 2ultima modifica: 2021-01-29T15:00:24+01:00da
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