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NESSUNA MAGIA

di Anna Murabito

Tutta la cultura filosofica, da oltre due secoli, accetta l’idea che l’esistenza di Dio sia indimostrabile. E se è indimostrabile l’esistenza di Dio, e dunque crederci è un atto di fede, figurarsi quanto dimostrabile sia l’esistenza di fenomeni paranormali quali coincidenze, telecinesi, trasmissione del pensiero, capacità di prevedere il futuro. Chi vuol crederci lo faccia, ma non pretenda di farlo in nome della razionalità. Tanto che si è tentati di liquidare questi argomenti come irrilevanti con frasi sicure e ineccepibili: un “quid” che sfugge, ma “potrebbe” significare qualcosa, non significa niente. Oppure ricorrendo a una battuta: i veggenti sarebbero ricchissimi se fossero in grado di prevedere i movimenti di Borsa. Quest’ultima brillante considerazione, pronunciata da Sergio Ricossa e poi molte volte citata, è già imbattibile e il discorso potrebbe chiudersi qui.

Tuttavia i fenomeni paranormali non sono soltanto un’occasione di spettacolo nei salotti televisivi per casalinghe. Studiati seriamente, essi non rivelano neppure, nei milioni di adepti in tutto il mondo, temperamenti particolarmente inclini alla fantascienza e alle sue infinite diramazioni. Hanno invece forti implicazioni psicologiche e sociologiche. Infatti affondano le loro radici nella palpabile e diffusa fragilità dell’uomo, da sempre tendente ad andare oltre le sue capacità e oltre l’universo fisico. Si pensi agli auguri, agli aruspici, ai vaticini della Sibilla, alle predizioni di molti profeti, apocalittici e no. Una prima considerazione è che non abbiamo fatto molta strada in questo campo.

L’ansia metafisica nasce con l’uomo. E ancora oggi egli continua a cercare nella metafisica una risposta al non senso dell’esistenza. Ci si ribella, anche da non credenti, all’idea di un materialismo “estremo”, solo che il materialismo non può che essere estremo, perché lo spirito o esiste o non esiste. Il monismo materialista non sopporta intrusioni di spiritualità o illusioni consolatorie. Posso ipotizzare che il desiderio di vincere la morte si manifesti nella creazione di una realtà magica, forse provvidenziale, che ordini, accorpi, finisca col determinare e instradare il corso dell’esistenza. Ma si tratta sempre di ipostasi di idee. E c’è un che di tormentoso in questo percorso, come chi ammucchiasse alla rinfusa una serie di oggetti di valore e di cianfrusaglie, che assomigliano a qualcosa, che significano qualcosa, ma non si sa che cosa.

In realtà chi si rifugia nel mistero e nell’indistinto cerca Dio. E le infinite discussioni sui perché senza risposta dell’Universo si intrecciano inestricabilmente con questa ricerca.

L’uomo che cerca Dio non merita un giudizio negativo. Non è migliore né peggiore di chi non lo cerca o non lo cerca più. A patto però che segua un percorso corretto: Dio non è dimostrabile razionalmente. Tutto ciò che riuscì a dimostrare Kant è che l’esistenza di Dio non è assurda.

Né l’eventuale esistenza di altre realtà, rispetto a quella percettibile, apre la strada verso Dio. Dire “non posso dimostrare che non esista una realtà inconoscibile” e quindi Dio esiste, è un ragionamento scorretto: dal non potere escludere la sua esistenza a sostenere in positivo che esista, il salto logico è abusivo ed inammissibile. Non si può dimostrare ciò che è negativo, ma soltanto ciò che è positivo, altrimenti l’elenco di ciò che non possiamo escludere che esista è infinito e per ciò stesso inconcludente. Conseguentemente l’affermazione “Si può essere atei solo se si può dimostrare che Dio non esiste” è inaccettabile. L’intera cultura occidentale da millenni si è impegnata a dimostrare l’esistenza di Dio e nessun pensatore ha provato a dimostrare che Dio non esiste, perché non esistono dimostrazioni negative se non per cose assurde: un triangolo con quattro lati, per esempio. Per il resto delle verità a posteriori, “Onus probandi incumbit ei qui dicit”, dicevano i giuristi romani.

Quanto alle altre realtà che si manifestano sotto lo stimolo di stupefacenti, droghe, ecc, sono legate all’attività del cervello di cui sappiamo ancora poco. Sono realtà immaginarie e personali, come i sogni. Non “belle o brutte, vivide o scialbe”, ma “contingenti”. Destinate a non esistere più con l’estinguersi dell’attività cerebrale dell’individuo. Rimbaud, con la sua eccezionalità di genio esaltato dalle sostanze proibite, ha pensato di potere forzare i confini dell’assoluto. Ma è soltanto riuscito a creare cose belle, non ha scoperto verità. Oppure ha espresso una verità legata solo al suo essere Rimbaud, in nessun caso una Verità valida per gli altri. Lui stesso del resto ha interrotto i suoi esperimenti che lo stavano conducendo alla follia: sono le sue parole. Anche quella dei malati di mente è una realtà personale (a volte dolorosissima) creata dai loro cervelli.

E dire “ma tutto questo non può essere frutto del caso”, è un ragionamento non conducente sul piano logico: fra l’altro azzererebbe tutta l’opera di Darwin.

La scienza non ci aiuta. Citare Jung serve a poco, a partire dal fatto che l’intera psicoanalisi è una teoria, non una certezza scientifica. Anche nella semplice pratica psicoanalitica non ci sono acquisizioni definitive, ma ipotesi interpretative, e l’inconscio – se esiste – continua ad essere un mistero non sufficientemente sondato. Quanto alla fisica quantistica, riguarda fenomeni che per le loro dimensioni non hanno nulla a che vedere con il mondo dell’uomo interamente immerso nella scienza galileiana e nella geometria euclidea.  

      Il materialismo non porta all’atimia, la passione con cui si affronta la vita è un fatto temperamentale, così come la capacità di amare. Il materialista non disprezza Don Chisciotte. Poiché non ha mai smesso di soffrire per l’assenza di Dio, soffre anche per le illusioni di Don Chisciotte. Il vuoto che lascia l’assenza di Dio non è come il buco che rimane dopo essersi cavato un dente, è una voragine che ha inghiottito tutto il reale.

Se si può evitare di cadere in questa voragine con un atto di fede, ben venga, senza pretendere però, è opportuno ribadirlo, una giustificazione razionale. Chi cerca una giustificazione cerca un’autorizzazione ma Dio non è una colpa: bisogna sapere che si sceglie tra sconfitta delle speranze e sconfitta della ragione. Tertium non datur.

 Quale Dio? Qualcuno sostiene che cercare un “Dio umano” è un errore. Ma che ce ne faremmo di un Dio creatore che non si interessa di noi e che non possiamo implorare nel bisogno e nel pericolo? Un simile Dio non è un’idea balzana, è la teoria di Aristotele, ma non soddisfa nessuno. 

Ci hanno parlato di un Dio così umano da farsi crocifiggere per prendere su di sé tutti i mali del mondo. Ma questa è la poesia del Cristianesimo. Non appena ci si sofferma a pensare, non funziona più niente: Dio uno e trino (cos’è lo Spirito Santo?); una vergine partorisce (come in altre religioni e miti); il corpo della Madonna assunto in cielo (cos’è “il cielo”?); il messaggio ambiguo e contraddittorio dei Vangeli; il sesso come peccato; l’odio per i ricchi; l’assurda dottrina del perdono e del porgere l’altra guancia. Ci si rende conto, se si studia appena quell’epoca, che Gesù era uno dei tanti profeti apocalittici e un guaritore: nient’altro che questo.

La Chiesa ce ne ha messo del suo. Ha avvilito Dio a quel personaggio con la barba e la tunica dell’iconografia; a livello sociale, con il suo messaggio sempre funzionale al potere delle classi dominanti, ha preso Dio a pretesto per creare una società di schiavi. Nella storia, poi, è inutile ricordare le guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa. E non bisogna dimenticare soprattutto una cosa: i Vangeli non sono testi storici. Anche per ciò che riguarda Gesù. E non sono stati scritti dagli apostoli. Basta assaggiare la critica neotestamentaria. E poi, perché escludere gli Apocrifi? Chi ha detto che valgono di meno? Se ci fidiamo della Chiesa, non siamo più storici, siamo credenti.

Nella religione islamica, l’abbandono alla volontà divina, con conseguente deresponsabilizzazione dell’individuo, porta ad un’inerzia, anche morale, difficilmente condivisibile. L’uomo occidentale non si sa “abbandonare” senza capire, ha bisogno di sentirsi padrone delle sue scelte. Anche se la posizione islamica è perfettamente logica. Se Dio esiste, se è provvidenziale, se è onnipotente, tutto ciò che avviene, avviene perché Lui l’ha voluto, ed è sacrilegio resistergli. Ma rimane un punto insuperabile, non importa come si chiami, bisogna dimostrare che Dio esiste.

C’è anche un sentimento religioso sfumato e generico. Il misticismo, l’afflato verso un quid di non ben definito che ci sovrasta, la meditazione: sono comportamenti che non capisco bene e cui non posso aderire. Sono fumo negli occhi. Così come un Dio-Natura non mi interessa. Ammesso che la Natura sia quello che vogliamo chiamare Dio, che ce ne facciamo?

Concludendo, non posso escludere che ci siano altre realtà, altri mondi, persino Dio.  Ma a che mi serve un Dio inafferrabile e comunque assente?

Il nostro cervello non è adatto a percepire tutta la realtà. Giusto. Ma questa affermazione mi fa pensare a quest’altra domanda: “Di che colore è una palla che non esiste?” Ed anche: “Che cosa contiene la scatola che non esiste, o comunque non sappiamo nemmeno se esiste o non esiste?” Dal mistero non si può dedurre nulla. Nulla.

Ne sapremo di più in futuro sul cervello e la scienza progredirà, dice qualcuno. Ma – a parte il fatto che l’Arte Greca e il Rinascimento sono finiti all’improvviso e che quindi non si può nemmeno essere sicuri di uno sviluppo inarrestabile della scienza – a che mi serve che tra duemila anni o tra due milioni di anni i ragazzini faranno il girotondo con i quanti contemporaneamente da destra verso sinistra e da sinistra verso destra? Quello che mi chiedo è: saranno più felici o più infelici, gli uomini? Ed esisterà sempre la morte? Anche se in questo campo credo di più all’ingegneria genetica che a Dio. Infatti basterà bloccare l’orologio biologico dell’invecchiamento. Se Dio è chi ha in mano le chiavi della vita e della morte, e se esisterà un simile potere, che m’importa chiamarlo Dio?

Infine, è certo che molte cose non le comprendiamo, ma non abbiamo altro strumento che la ragione per comprenderle. Anche perché quali messaggi orientativi ci possono venire dall’incomprensione?

Inoltre bisogna distinguere il piano filosofico, quello religioso, quello scientifico e quello delle credenze popolari. Non posso determinare il senso della vita con il calcolo delle probabilità.

Questa confusione accresce l’angoscia di chi cerca Dio. Angoscia risolvibile con un semplice atto di fede, molto più elegante che parlare di oroscopi.

A chi sostiene che il mondo di Galileo è “stretto”, rispondo che sarà pure vero, ma è l’unico mondo che percepiamo con i nostri sensi nella vita di ogni giorno.

Amo il mito, la favola, la poesia, l’affabulazione, ma come uscite volontarie dalla realtà, e con la continua supervisione della ragione. L’emozione e le passioni colorano gli eventi e le espressioni culturali degli uomini, ma un’emozione epidermica e pervasiva che voglia spiegare la realtà sulla base di remote suggestioni mi pare primitiva e fuorviante. 

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com

NESSUNA MAGIAultima modifica: 2021-02-06T14:49:52+01:00da
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