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JOSEF SUDEK: IL GRIGIO NELL’ANIMA

di Anna Murabito

Eccolo, Josef Sudek (1896 – 1967). Mingherlino, curvo, dimesso; gli manca un braccio, che ha perduto durante la Prima Guerra Mondiale: non ha certo l’aspetto del vincente. Eppure egli è capace con i suoi scatti fotografici di riplasmare la realtà, fino a farle assumere docilmente forme e suggestioni che vanno al di là della pura rappresentazione visiva. Così la luce si fa corpo in obliquo sul pulviscolo, nell’interno della Cattedrale; il mediocre bicchiere casalingo diventa il pretesto di un’astrazione; un moncone di tronco si rivela il paradigma della sconfitta. Il mondo intero risulta trasformato dal suo obiettivo o forse è l’anima di Sudek che riesce a contenere tutto il mondo.

Quella del fotografo ceco è una realtà senza certezze e senza enfasi, con i suoi vasi talvolta sull’orlo del tavolo o del davanzale, quasi a sottolineare l’instabile equilibrio della bellezza, la precarietà della condizione umana.

Una natura stremata gli racconta sommessamente la sua pena come un basso continuo nella luce ferma e flebile, a volte lugubre. Fragili rami spogli e alberi spezzati, nudi, si lasciano frugare dallo sguardo fraterno di Josef che uniforma nello stesso requiem sentimenti umani e cose.

Il suo è un mondo in cui parla solo il grigio. Un grigio pastoso, consistente, convincente come un attore che reciti bene la sua parte. L’artista riesce a raggiungere le terminazioni remote del dolore che è nelle cose e le fa sue confondendole col suo sentimento del mondo, con la sua personale tristezza.

 Negli interni Primo Novecento risalta l’eleganza rarefatta delle rose, la poesia dei vetri appannati di cui si indovina la singola gocciolina d’acqua, esemplare espressione di malinconia, per un’indagine che sarebbe piaciuta a Proust. E attraverso quei vetri il paesaggio appare trasfigurato, alleggerito in una sintesi di realtà e sogno.

La sua Praga è spesso vista da lontano, sfumata e onirica come un’illusione di bellezza. Poche le figure umane, qualche bambino per strada, una donna che tiene per mano il figlio, inquadrata di spalle: commuove persino la foggia delle sue spalline, moda di altri tempi, non sempre felici. Un’altra madre e la sua bambina in una giornata in cui il grigio suggerisce l’afa; una nuvola incombe sull’immobilità della campagna deserta. Una carrozzina evoca immagini cinematografiche. E per nessuno c’è speranza.

Josef Sudek è uno di quei grandi artisti che ancora operavano all’inizio del Ventesimo Secolo, cioè prima che una moltiplicazione caotica di schemi, visioni e improvvisazioni intorbidasse l’aria interrompendo quell’indescrivibile circuito d’amore che passa tra autore e fruitore.

La fotografia di Sudek, astrazione pura e pudica, ricorda la Sonata per violino e pianoforte di César Franck.

Anna Murabito      annamurabito2@gmail.com

 

JOSEF SUDEK: IL GRIGIO NELL’ANIMAultima modifica: 2022-08-18T15:17:26+02:00da
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