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IMMAGINI DI MAURICE UTRILLO

Parlando di Maurice Utrillo (1883 – 1955) non si può non pensare all’altro grande “insano” della pittura, così noto che molti lo chiamano solo Vincent, indossano le magliette con il suo nome, conoscono episodi drammatici della sua vita.

Però Van Gogh ci porta a forza nel ferro e nel fuoco della sua mente; Utrillo invece dipinge “per intervalla insaniae”, e i suoi quadri sono parentesi, stazioni, bolle di tregua e di silenzio nel suo stridente divenire.

Alcolizzato fin dall’infanzia, figlio di un’alcolizzata, epilettico, bipolare, paranoico, conobbe ancora ragazzo i manicomi. Pare che la nonna lo avesse reso avvezzo all’alcol fin da bambino. Successivamente la madre, Suzanne Valadon, modella e pittrice di successo, gli insegnò a dipingere nel tentativo di fornirgli un’alternativa al vino. Di fatto la pittura divenne la sua unica alternativa, la sua intermittente terapia, la sua droga benefica. E l’espressione di una poesia intima, in cui il dolore si intravede appena, senza essere mai gridato.

Quanto a gridare, Maurice faceva anche di più: quando non dipingeva e non beveva, nei suoi accessi di furia scaraventava in strada ogni oggetto che trovava. Nella sua stanza la finestra conserva una rete metallica a maglie strette, per salvaguardare gli accidentali passanti, e solide sbarre per impedire che Maurice scaraventasse giù anche sé stesso.

Parigi è la sua casa, il rifugio della sua anima in pena. Vi si muove con sicurezza ripercorrendo sempre gli stessi luoghi, come chi ritrovi i ricordi vagheggiati di un’infanzia felice: Montmartre, il Moulin de la Galette, la casa di Mimi Pinson. Il suo respiro si placa nelle strade deserte, nelle piazze quiete, nella consonanza con gli alberi scheletrici o stilizzati. Le facciate delle case sono statiche, fondali di scena di uno spettacolo che non ci sarà.

Mai quadretti, mai idillio, mai kitsch. I suoi dipinti non sono neanche sogno: sono soprattutto fiato sospeso. La lentezza sembra materializzarsi e salire dal terreno come nebbia, nell’assenza di vento, nell’assenza di conflitti; gli altri non ci sono, o sono ridotti a sagome, figurine di carta senza volto né spessore, spesso inquadrate di spalle, in una solitudine composta e simbolica. Possono essere spazzate via con un soffio o con un gesto della mano, come quando si allontanano dal foglio i residui della gomma da cancellare. Piccoli, inoffensivi abbozzi di umanità, lontana dalle dissonanze del delirio.

Solitudine, silenzio, immobilità, interpretati ed esaltati dalle tinte mai violente: tutte le sfumature del bianco e dell’ambra, grigio, violetto, verde salvia, qualche tocco di rosso bruno. Nella pittura Utrillo abbandona i colori primari del suo tormento. Riesce a creare un lirismo sommesso e disperato in cui si coniugano la sua anima di fanciullo in cerca di protezione e la pena di un uomo che sa di usare i pennelli come morfina.

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com      

 

 

UTRILLO Videoultima modifica: 2021-02-12T15:22:08+01:00da
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