expressioni

HOROWITZ

Schubert Impromptu n.3

di Anna Murabito

Di Vladimir Horowitz sappiamo tutto. La sua vita e i suoi rapporti con gli altri; i suoi pregi di grandissimo artista precoce, i suoi rovelli, le sue intemperanze. Fu assente dal palco per lunghi periodi: prima per tre anni in seguito a una malattia; poi per dodici anni, sconvolto da una nevrosi devastante. Conobbe l’esperienza estrema degli elettroshock; gli antidepressivi e l’abuso d’alcol divennero i compagni maligni del suo disagio esistenziale. La sua carriera toccò l’empireo e il fondo dell’abisso. Abbiamo anche gli elenchi dettagliati delle sue esibizioni; gli aneddoti e i pettegolezzi che accompagnarono le tappe della sua vita; precisazioni tecniche di ogni genere e interventi di competenti pro e contro.

Ma io guardo la sua faccia. Vedo la sua assenza, i suoi occhi lontani e acquosi, come spesso sono gli occhi degli alcolizzati. E percepisco la sua solitudine, il suo dolore di uomo. Poi lo guardo suonare, intento, quasi nell’atto di chi sta accarezzando un’amante. Con le sue strane mani piatte, a sfiorare la tastiera o ad affondare le dita: e lo vedo nella sua inimitabile entità di genio.

Vladimir Horowitz esercita il fascino romantico dell’eroe perdente, del mito distrutto dalla sua debolezza, forse dagli invalicabili pregiudizi che hanno finito col costargli la salute mentale se non la vita.

Ma c’è qualcosa in più. Appare trafitto da un mistero: quello incomprensibile della bellezza soverchiante della musica. Dopo averla temuta, dopo averla adorata, osa affrontarla: ne è posseduto e la possiede, in una sorta di unicità emotiva che assomiglia a un rito sciamanico e mistico nello stesso tempo. Non ci sono vincitori né vinti alla fine, ma si rimane stremati, come dopo una lotta troppo lunga per le capacità umane.

Nessuno come Horowitz. Vederlo suonare è un’esperienza che toglie il respiro, inchioda sulla sedia. Un’esperienza diametralmente opposta a quella di veder suonare Arturo Benedetti Michelangeli. L’artista bresciano insegue una perfezione sovrumana e a volte la raggiunge gelidamente, senza dolore, in maniera matematica. È un lucido Rimbaud, privo di ansia metafisica, in lui parla la vertigine dell’astrazione. Pura emozione intellettuale. Come aver capito la Teoria della Relatività.

Horowitz invece ti prende al laccio di un’esperienza raffinata e primordiale, che attinge alle radici lontane dell’essere. Ti imprigiona in una cupa felicità e nel desidero di provarla ancora.

Anna Murabito     annamurabito2@gmail.com

HOROWITZultima modifica: 2022-04-17T10:03:19+02:00da
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