PITTORIALISMO: Léonard Misonne e Don Hong-Oai

di Anna Murabito

Al suo esordio la fotografia fu considerata un’arte minore, come la ceramica o l’intaglio su legno. Anzi neanche un’arte di secondo ordine, bensì una semplice, meccanica riproduzione della realtà.

Tra la fine dell’‘800 e l’inizio del ‘900 nacque così – prima in Europa e successivamente negli Stati Uniti – un movimento chiamato “Pittorialismo”. Esso si diede il compito di conquistare alla fotografia un posto tra le arti maggiori imitando gli schemi e le modalità espressive della pittura. La fotografia doveva dunque avere una sua validità estetica che la distinguesse dalla mera riproduzione. I modelli cui attingere furono gli Impressionisti e i Preraffaelliti. Attraverso diverse tecniche di sviluppo e stampa, le immagini fotografiche perdettero la nitidezza e prevalsero invece le sfocature, i colori morbidi (seppiati, ambrati, verdastri) e l’uso sapiente della luce.

L’acquisizione di una tecnica – come la fedeltà ad un nuovo manifesto letterario – non crea necessariamente degli artisti. Ci sono ottimi disegnatori che non hanno nemmeno lontanamente il valore di Leonardo; intagliatori, decoratori raffinati che non sono Dürer. Probabilmente fra i fotografi pittorialisti ci sarebbero state personalità di spicco anche senza volere imitare la pittura.

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Per esempio Léonard Misonne (Gilly, Belgio, 1870–1943) è un artista non perché ha sperimentato tecniche complicate e costose (bisognava essere benestanti per dedicarsi a questo tipo di fotografia innovativa, e lui lo era) ma perché sa leggere la poesia della realtà. Ed ecco i campi grigi, l’acciottolato bagnato, le pozzanghere fangose, la solitudine degli alberi e delle case mute, disabitate. La luce spesso inquietante – lontana, aliena – crea aloni misteriosi. Anche quando è copiosa sembra precaria: la nebbia e il buio sono in agguato.

In uno degli scatti i pali dell’alta tensione, netti e neri, si stagliano contro il cielo bianco. Sembrano dei suppliziati, crocifissi lungo la strada ferrata: qui la luce è tagliente, l’atmosfera lugubre, il silenzio protagonista. Il treno che si intravede in lontananza non sembra vero, fa parte di un paesaggio disperso.

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Misonne è legato alle sue origini. Il Belgio è il suo mondo e la casa della sua anima. Un luogo dove quell’“infiniment de brumes à venir” di Brel acquista il suo pieno senso. La figure che camminano in riva al mare, mentre il sole gli sfiora i capelli, sembrano ballerine: vivono in una eterea, onirica levità. Altre sagome scure sul ghiaccio sono un’immagine astratta ed evocativa, l’iconografia di un sentimento. E il cuore è sempre “à marée basse”. Misonne sarebbe stato grande anche soltanto fotografando il grigiore sfinito del Nord. Senza artifici tecnici e progetti di imitazione.

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Nel pittorialismo occidentale il fotografo si propone di raffigurare la realtà creativamente, alla maniera dei pittori. Ma sempre di realtà si tratta. Nelle opere dello stesso Misonne non mancano i bozzetti e le scene di vita quotidiana oltre alla raffigurazione di persone intente al proprio lavoro.

Il pittorialismo asiatico si ispira a principi diversi. Il tema non è la realtà, ma ciò che della realtà resta nella memoria ed emerge nella camera oscura come risultato di una riflessione, di un’idea da consegnare alla pellicola. Questo pittorialismo non è rappresentazione né trasfigurazione: contiene invece il dato mentale dell’interpretazione della realtà e contemporaneamente è ricerca di bellezza e di armonia. Per questo le immagini sono fortemente idealizzate e non di rado accompagnate da un brano calligrafico dello stesso pittore/fotografo oppure tratto dalla produzione poetica classica e contemporanea. La meditazione, la poesia e l’immagine appartengono allo stesso ambito, vogliono cogliere l’essenza delle cose.

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Le fotografie di Don Hong-Oai (1929 – 2004), geniale discepolo del maestro Long Chin-San, sono tra le massime espressioni del pittorialismo asiatico. Evocative e atemporali, sono il risultato di una concezione della vita che rifiuta il movimento accentuato, l’attimo da fermare, la frenesia del mondo occidentale. Don Hong-Oai si avvale della tecnica della sovrapposizione dei piani (primo piano, piano intermedio e fondale) usando più negativi da “incollare” l’uno all’altro. L’albero, il ramo, l’uccello, l’acqua sono reali, ma la composizione che ne deriva è un’invenzione dell’artista e risulta astratta, come astratte sono le parole del poeta quando compone versi. Le figure umane, fortemente stilizzate, sono soltanto sagome; la barca è geometria, tratto scuro, quasi ideogramma; i copricapo sono coni, anzi triangoli, tanto appaiono privi di spessore. Insomma gli ingredienti sono sempre quelli, come immutabili sono gli elementi importanti dell’esistenza; le manipolazioni delle immagini realizzano creazioni artistiche mai identiche le une alle altre. Anche le note sono solo sette ma è infinita la produzione musicale.

I lunghi anni trascorsi a San Francisco, dopo un’adolescenza e una giovinezza travagliate e amare, non lasciano nell’opera di Don nessuna traccia e non apportano nessuna contaminazione. Del resto il grande fotografo visse all’interno della comunità di Chinatown dalla quale fu acconto ed aiutato e non imparò mai una parola d’inglese. Il suo universo di riferimento, piantato come una roccia nella mente, è la Cina. Non c’è grido, non c’è enfasi emotiva, nelle sue opere, eppure esse non risultano mai fredde o inespressive. Nell’estrema compostezza non c’è rigidità ma una sorta di soffuso splendore. Dalla perfezione emana una mitezza balsamica che ha in sé qualcosa di mistico. Non c’è dramma neanche nella figura della giovane donna col bilanciere inquadrata con lo sfondo di una tempesta di sabbia. La stilizzazione, l’eleganza della figura piegata in obliquo dal vento (probabilmente inserendo un negativo inclinato) ricorda in qualche misura l’estrema astrazione de “L’Onda” del giapponese Hokusai. L’emozione che questa immagine provoca è solo estetica. Un’altra figura femminile con l’ombrellino galleggia sulla sabbia. Vengono in mente le celebri immagini di Monet. Lì c’è un’adesione perfetta alla realtà: la primavera “brilla nell’aria e per li campi esulta”; la luce viva fa tutt’uno con i vestiti chiari, l’azzurro del cielo e le nuvole bianche. Qui, in un chiarore immobile, c’è l’ambiguità del sogno.

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Le fotografie di Don Hong-Oai sono un’infinita variazione sul tema del vivere.  La sua capacità di realizzare altissima poesia gli consente di superare gli schemi e le barriere culturali dell’altra parte del mondo conseguendo l’universalità dell’arte.   

Anna Murabito      annamurabito2@gmail.com

PITTORIALISMO: Léonard Misonne e Don Hong-Oaiultima modifica: 2022-12-07T15:35:17+01:00da helvalida
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5 pensieri su “PITTORIALISMO: Léonard Misonne e Don Hong-Oai

  1. Alida, grazie per avermi fatto conoscere questi due maestri e le loro delizie, delle quali ero ignaro. Ho mandato un paio di foto di Don Hong Oai a mio figlio Mark, esperto fotografo dilettante, ed e’ rimasto a bocca aperta. Certo non erano semplici foto, c’era tutta una tecnica costruttiva dietro, ma il risultato finale era arte pura.
    Ho fatto un po’ di ricerca sul pittorialismo, e ho scoperto con sorpresa che, nel suo lungo elenco di artisti non esiste quasi nessun italiano, a parte forse Domenico Peretti Griva il quale, in alcune delle sue immagini, ricorda un po’ i macchiaioli.
    Grazie Alida, con te c’e’ sempre qualcosa da imparare.

    • Devo dire che sono stati una rivelazione anche per me: me ne sono innamorata pressoché immediatamente.
      Grazie, Nicola.

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