TEDESCHI

Quadretti di una esposizione

di GIUSEPPE ALÙ 

“Tedeschi”, di Giuseppe Alù, innanzi tutto è un libro bello da vedere e da toccare, piccolo da essere contenuto in una mano o nella tasca dell’impermeabile, con una carta solida, una stampa nitida e caratteri non troppo minuscoli.

Il sottotitolo, brillante, è una strizzata d’occhio ai musicofili.

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Diviso per argomenti di piccole dimensioni, trattati in maniera pacata e un po’ sorniona e con la capacità filtrante di chi ha saputo scegliere gli episodi più significativi. Fa parte del gioco considerarlo un “saggio semiserio”, ma è l’opera di uno scrittore; un invito alla lettura per tutti, anche se, come sempre, si può leggere a diversi livelli.

Non ci si può soffermare su tutte le riflessioni espresse nei quaranta capitoletti di cui si compone il libro, ma effettuare piuttosto una serie di sottolineature.

Difficile dimenticare la prima scena, quella del bambino che piange e della madre accosciata davanti a lui che aspetta in silenzio la fine della crisi emotiva. Seconda scena, nel capitolo successivo, il cane delle proporzioni di un orso che viene fuori da sotto il tavolo, dove nessuno si era accorto di lui.

Il libro non ha né il grigiore della cronaca né il folclore cui può indulgere il giornalista in cerca di colore. Lo scrittore, sempre presente,  evita il rischio della banalizzazione con immagini che si ricordano: “Sta lì col portamonete in mano, occhiali e naso a picco”; le piante e i fiori “respiro verde della casa”; le case a graticcio, non come “condanna al ripetitivo, ma come moltiplicazione del bello”.

Un bel disegno nitido è l’immagine dello “stradaiolo” che dispone le bottiglie in bell’ordine accanto a una panchina o lungo le siepi.

E ancora, espressioni insolite e preziose a proposito dei Cabarettisti, “apostoli dell’umorismo, quartetti d’archi del sorriso”.

Una descrizione artistica a descrivere l’arte: “Un interno tragicamente barocco tutto di un bianco abbagliante macchiato solo, su una parete, da un fosco pulpito nero che pare in perenne agguato”.

Le battute indimenticabili. “È pericoloso attraversare i binari? No, è proibito”. E poi: “Le commesse sorridono con tale perfezione che sembra sorridano davvero”.

Più tardi dirà: “In giro si vedono solo donne con capelli pettinati senza alcun indizio di aiuto”. Sottile ironia a proposito dell’abbondanza di parrucchieri di cui le donne tedesche non si servono.

La cultura è data per scontata. Per esempio l’autore accenna alla Guerra dei Trent’Anni ed espone in un rigo il suo commento di storico (“Le chiese sopravvivono oggi serene come incolpevoli”). Ma poi, sapendo di scrivere un saggio “semiserio”, il racconto è addolcito, è il caso di dirlo, con la Torta Ratzinger.

ll capitolo 24 (La parte oscura) è il più bello: l’anima e la letteratura tedesca in poche righe. Seguito in graduatoria dal capitolo 28 (Leggere), per il bozzetto della ragazza incontrata in metropolitana: cinematografico, onirico, “insensato” quanto basta. Bella scrittura.

Non si può non citare la capacità di condensare in poche righe la storia della Germania (p.66).

Infine: “Ciò che è secondo la Regola è giusto, buono, vero, ciò che è fuori dalla Regola è male”. L’abilità dello scrittore consiste nel rilevare questi dati senza commentarli. Finge di non ricordare che l’Obbedienza alla Regola ha prodotto frutti avvelenati, facendo scorrere fiumi di inchiostro (filosofia, sociologia, psicologia, psicanalisi) e di sangue (infelicità personale, milioni di morti).

Ma là dove l’autore appare fin troppo benevolo è nella descrizione dei tedeschi “rispettosi in patria, slegati fuori”. Solo slegati? Uno può essere slegato e assaporare la mitezza di un ambiente più tollerante, ma molti giovani tedeschi, in Italia, si ubriacano, schiamazzano, si denudano, orinano nelle fontane, rompono bottiglie di vetro (quelle stesse che i loro compatrioti barboni allineano lungo le siepi), disturbano a qualunque ora la quiete pubblica come i pessimi italiani non oserebbero fare. Perché? È colpa di quel fondo di brutalità di cui l’autore parla? È perché i giovani, in fondo al cuore, “gioiscono per la vittoria di Arminio sui Romani”? È perché la costrizione che subiscono in patria non è conforme alla natura umana? È perché in fondo disprezzano l’Italia come Paese meridionale?  Anche in un saggio semiserio, un cenno critico sui cattivi comportamenti dei tedeschi all’estero (Italia) non avrebbe guastato.

Rimane un dubbio che è anche un merito: non si sa se l’autore li ami o li odi.  

Giudizio generale. Si tratta di un libretto delizioso, disincantato, denso e misurato insieme, colto, accattivante per il buon gusto che esprime.

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com

TEDESCHIultima modifica: 2020-12-09T15:12:07+01:00da helvalida
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