BAROCCI

FEDERICO FIORI DETTO IL BAROCCI

Quando l’Arte diviene Religione

Cenni critici

di Giancarlo Alù

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Intorno alla metà del 1500 appaiono nel panorama artistico italiano due incommensurabili geni della pittura: Federico Fiori detto il Barocci, nato a Urbino nel 1535 – quindici anni dopo la morte del suo grande conterraneo, Raffaello – e Michelangelo Merisi da Caravaggio, nato nel 1571. 

Entrambi, pur operando con caratteristiche iconografiche totalmente diverse, ebbero dal destino un compito precipuo: riportare nell’iconografia sacra della Controriforma l’attuale umano.

Riprendersi il Cristo, farlo di nuovo scendere dagli Empirei, e mostrarlo come uno di noi, nella sua spirituale umanità, così come aveva iniziato a definire questo sentire, nel 1300, il genio di Giotto.

I vari pensatori dell’epoca, come Marsilio Ficino, Giordano Bruno, Machiavelli, Cartesio e altri in tutta Europa, e gli scienziati come Galileo, lo stesso Leonardo, Copernico, Newton, oltre alle nuove scoperte di sconosciuti territori di là dell’oceano, avevano contribuito alla maturazione della società, al suo modo di vedere e sentire la realtà e il concetto di Fede.

Anche la religione cristiana, dunque, si volge a una concezione più pragmatica: gli uomini del XVI secolo anelavano a un Dio non più teologicamente generico, ieratico, lontano, ma, finalmente a una sua più terrena visione.

Profondamente cattolico, il Barocci sentì imperioso il messaggio religioso della Transustanziazione (scaturita dal concilio di Trieste e Firenze) e della dicotomia nicena.

Sentì, cioè, anch’egli il bisogno di umanizzare l’immagine della Fede – concetto in parte paradossalmente sviluppato all’interno dell’evoluzione sociale e politica del nascente luteranesimo protestante – pur senza rinunciare alla parte divina di essa.

Nel pieno del fenomeno manieristico allora imperante, senza però esserne influenzato, come invece una certa critica afferma, creò un suo personalissimo stile che fu di grande anticipazione all’arte barocca religiosa.

Federico infonde nelle sue opere una sorta d’infinita gentilezza, rispetto, amore, che penetra, innerva le sue figure, dalla Beata Vergine al dolce e umile Giuseppe, al Bambinello fino ai pastori e a tutti gli altri personaggi. L’Artista illumina le tele di colori acquosi, trasparenti, soffici e vaporosi, creando un’atmosfera surreale, mistica, ma pur sempre fortemente umanizzata.

Tra le  Opere più impressionanti e commoventi di Federico Barocci segnaliamo l’Annunciazione, il Riposo durante la fuga in Egitto della Pinacoteca Vaticana, e L’incontro con Santa Elisabetta, nella Chiesa Nuova, a Roma.

La prima Opera citata, l’ “Annunciazione”  non è un quadro, una tela dipinta. E’ un’espressione evanescente, eterea, inconsistente, vaporosa, surreale, metafisica … che altro dire?

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Maria, giovane leggiadra fanciulla dalle  virginee rosee guance è intenta a leggere un libretto, seduta in un interno domestico, all’alba, in uno di quei momenti magici in cui il mondo è ancora silenzioso, e attraverso la finestrella aperta si propone il castello turrito del principe governatore di Urbino, Francesco Maria III della Rovere.

L’aria sembra fresca e profumata di rose.

Improvvisamente ecco materializzarsi un bellissimo giovane con grandi morbide e vaporose ali che s’inginocchia davanti a Lei e con indicibile dolcezza, rispetto, amore, l’appella Ave Maria, Mater Dei, mentre con regale gestualità la saluta con la mano. Si direbbe rappresentare la conoscenza del segreto divino, la buona novella, foriera di gioia e speranza per l’umanità. La sua leggiadra immagine è rivestita da un abito d’oro magnificamente ornato, e si configura come forma incorporea ma, nello stesso tempo, potente nella sua sacralità antropomorfa di giovane eroe.

Maria, a questa visione prontamente si alza, appare ovviamente sorpresa, quasi disorientata, non sa che dire o come reagire ma non è spaventata, e inconsciamente posa sul tavolo con lievità il libretto che aveva in mano e con l’altra mano si sfiora il seno, quasi a voler frenare i battiti veloci del suo cuore ma anche a sentire il battito di un altro piccolo cuore.

Tutta la scena è immersa in un’atmosfera onirica, rarefatta, in cui i contorni dei due personaggi sono evaporati, come sfocati. Una staticità piena di movimento, di emozione, di Amore, di umiltà e di obbedienza ai voleri del Padre. Ma nel contesto di tutta la spiritualità diffusa e soffusa di questa tela, i due personaggi sono dei ritratti con caratteri somatici e di gestualità realistici, veri, umani, che mostrano emozioni e sentimenti di un verismo e passionalità sconvolgenti.

Al centro della scena il giglio che l’Angelo offre con rispetto e dedizione a Maria.

Proprio il giglio è l’unico elemento emblematico, direi nodale, chiaramente visibile, quasi inciso nella tela, perfettamente a fuoco, che illumina l’atmosfera e le vibrazioni trascendenti della rappresentazione sacra. Il giglio è la metafora della purezza, fisica e spirituale, della Vergine Maria, ed è il tema essenziale e precipuo del messaggio ecumenico della verginità e maternità.

Un’opera unica nella sua integrità morale e formale, nella sua vivente architettura che raggiunge le più alte vette dell’Arte.

Un cenno delle altre due mirabili opere di Federico.

La prima è la “Visita a Santa Elisabetta”, rappresentata in un preciso momento dell’evento: l’arrivo.

Una scena incredibilmente umana e altrettanto incredibilmente spirituale.

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Maria è salita sulle scalette di una delle migliaia di casette dei nostri incantati paesini specie del centro Italia, ha bussato ed ecco che Elisabetta appare con una espressione di letizia piena di affetto, le viene incontro e l’abbraccia stringendole la mano caramente.

Il marito di Elisabetta, Zaccaria, un sacerdote ebreo, che ha seguito la moglie, fa capolino dall’uscio con uno sguardo radioso, onorato da questa visita.

Intanto, in basso, San Giuseppe sta scaricando … i bagagli dalla soma dell’asinello, loro mezzo di trasporto.  Dunque Giuseppe è  intento a depositare le sacche in terra, mentre Maria sta per essere accolta con affetto e familiarità in casa.

Sulla sinistra ecco l’asinello che è stato il mezzo di trasporto, spettatore e testimone di questo evento, parte dell’iconografia satura e vibrante di gioia. L’asinello, che come vedremo, avrà per il Barocci, ma anche per Caravaggio, un ruolo direi di esegesi nell’interpretazione della sacralità del momento.  

Dunque Maria ora è nella casa di Elisabetta e si può intuire il colloquio tra due cugine di notevole differenza di età, tra due donne gravide una del Cristo e l’altra, già  molto avanti negli anni, miracolosamente gravida di San Giovanni Battista.

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L’intera scena ha un sapore di presepio, prima del tempo, in cui tutti i personaggi sono stati descritti come cristallizzati nei movimenti ma vivissimi nelle espressioni dei volti e degli atteggiamenti. Il verismo di Federico mostra il lato migliore della gente, la pietas incondizionata che si fonde con la semplicità e l’ubbidienza delle regole umane e divine.

Sulla destra della tela, una regale figura di popolana avanza verso Maria, portando come omaggio un cestino con due gallinelle. E lo sguardo sereno, di contenuta gioia, lo stesso portamento elegante e snello tradiscono la sua identità soprannaturale. Attraverso le molteplici sfumature espressive dei personaggi, veri e propri messaggi subliminali al lettore della tela, Federico ci mostra la sua grande sensibilità e conoscenza dell’animo umano.

Il verismo di Barocci è sostanzialmente lo stesso del Caravaggio – Artista in cui sono forti i bagliori del protestantesimo luterano – e delle sue nuove visioni terrene della religione cristiana. Ancora una volta all’opposto per la tipologia formale, ma entrambi consoni nel concetto finale del racconto.

Nella tela “Il riposo durante la fuga in Egitto”, anche conosciuta come  “La Madonna delle ciliegie”, Maria è seduta presso una piccola sorgente di acqua pura e la sta attingendo, con grazia angelica, con una ciotola di metallo. Il suo sguardo è triste, rassegnato, con gli occhi gonfi di pianto, conscia com’è della futura tremenda e ineluttabile passione e morte del suo unico Figlio.

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Nel frattempo San Giuseppe, trasfigurato in una sorta di angelo, con un soffice e svolazzante mantello rosso che spunta dal folto di una siepe, con un sorriso sublime, pieno di amore, porge al figlioletto un rametto con ciliegie, che è afferrato presto dalle manine del piccolo  che sorride come per un gioco. Un sorriso che non ha eguali in tutta la storia dell’arte mondiale, un sorriso innocente, luminoso che fa trasparire emozioni di gioia, di felicità nel sentirsi al centro dell’attenzione, senza l’uso delle parole. Un sorriso, un volto del Bambinello che ho rivisto nei volti e negli occhi dei miei due figli nella loro primissima infanzia, così come si scorge in tutti i neonati nel riposo.

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Tutta la scena è un inno alla gloria di Dio, una melodia angelica e sublime espressa solo attraverso le espressioni dei volti, che si rifanno a quelle piene di amore degli occhi degli angeli che ammirano in estasi la figura di Gesù in trono, del Polittico Stefaneschi di Giotto, della Pinacoteca Vaticana. Una sorta di ritorno al passato, ma con ben altro sentire, ben altra verità.

Inoltre ancora la presenza dello stesso elemento di umiltà e bontà: ancora una volta un somarello, loro mezzo di trasporto, in disparte, lasciato libero da pesi, visto posteriormente, volge la testa verso i personaggi divini con uno sguardo di devozione e di ammirazione, pieno di umile turbamento.

Difficilmente si riscontra nella storia dell’iconografia cristiana la presenza di un animale così umile, plebeo tra gli animali, in una scena che rappresenta la Divinità. L’asinello appare solo nelle raffigurazioni del Presepe, nella stalla con il bue a riscaldare con il fiato e il corpo la stalla-grotta dove il bambino è nato.

Lo stesso soggetto è stato riprodotto da Caravaggio e qui la scena si svolge in una luce soffusa illuminata dagli ultimi bagliori del sole già tramontato. I contorni delle figure sono sfumati, onirici, profondamente spirituali, interpretazione che verrà ripresa più tardi da altri Artisti della fine del XIX secolo del romanticismo francese, italiano e tedesco.

Ora i due grandissimi artisti si confrontano.

Addirittura nella tela del Caravaggio dello stesso soggetto, dipinta quasi in contemporanea, avviene il miracolo della tenerezza che prevale sulla violenza, la serenità che supera la potenza inquietante della scena.

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1597-caravaggio-riposo-nella-fuga-in-egitto-part.4Anche lui, Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, inusualmente umile, si commuove, si addolcisce, e nella tela della Doria Pamphilj rappresenta la Madonna che, seduta morbidamente appoggiata a un alberello, stanca del viaggio, si è assopita. Rara e intrigante interpretazione dell’umanità della Madre di Dio, mentre tiene il figlioletto neonato, anch’egli addormentato, sul seno tra le sue vigili braccia. Intanto l’umile, scarmigliato, stanco San Giuseppe regge lo spartito a un meraviglioso angelo visto di spalle, quasi di gusto canoviano neoclassico (anticipando di duecento anni il sapore culturale di questo stile), che sta suonando la lullabay con un violino con l’archetto con un filo rotto,  per accompagnare, accarezzare e favorire il meritato riposo della Madre e del figlioletto dopo un lungo e faticoso viaggio. Ma questa volta è un bellissimo giovane seminudo …dalle ali nere! La luce critica del protestantesimo iconoclasta si evidenzia in maniera subliminale infiltrandosi come un serpentello nella sacra scena. Quasi nascosto tra le frasche ecco, anche qui, il somarello che fa capolino, quasi di soppiatto, poco visibile, vicino al volto di San Giuseppe (forse accostamento non solo casuale), con uno sguardo mansueto che con la sua presenza, anche in questo caso, come assonanza a quella stessa scena del Barocci, colora tutta la visione di un velo di divinità umanizzata.

Ovviamente nel Riposo del Barocci ci si aspettava la dolcezza divina della realtà storica dell’evento, mentre Caravaggio ci sorprende per questo incredibile cambio di personalità con la sua tela omonima, che deve essere stata la somma di una crisi esistenziale interiore, che ha prodotto questo squarcio di sole tra le nuvole burrascose del suo cielo.

Entrambi gli Artisti ebbero vite complicate e provarono l’amaro della violenza.

Caravaggio morirà a neanche trentanove anni in una maniera tragica e grottesca, dopo una vita di violenze, di abusi, abbandonato su una spiaggia nel grossetano nel 1610. Il  Barocci, scampato ad un tentativo di omicidio da avvelenamento, sicuramente effettuato da altri Artisti (forse gli stessi che boicottarono Caravaggio) invidiosi del suo genio e del suo successo, morirà due anni più tardi ad Urbino, ma all’età di settantasette anni.

 

 

 

 

BAROCCIultima modifica: 2021-01-08T17:27:08+01:00da helvalida
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4 pensieri su “BAROCCI

  1. Appassionata illustrazione di artisti diversi eppure spinti da medesimi stimoli poetici. Sul Caravaggio sappiamo tutto o quasi, invece sul Barocci le informazioni sono generiche e non sempre positive. L’aurore mette soprattutto in evidenza l’interno sentire del pittore, la sua dolcezza d’animo che trasferisce nei personaggi religiosi raccontati con sincera devozione. Non è ancora manierismo, ma reale adesione ai misteri di una fede che era fortemente strattonata da più critici insofferenti della gestione fatta della stessa fede dalla istituzione umana. Convincente è la rappresentazione dell’urbinate come anticipatore del barocco, ma con caratteristiche che del barocco non hanno molto in comune. Dove lì è il trionfo della forma, qui è l’esposizione di una realtà umanissima e mai trionfalistica. Interessante e profonda è l’interpretazione delle sue tele e questo spinge a rivalutare adeguatamente il nostro grande artista della terra di Raffaello. Saggio sicuramente da leggere.

    • Grazie Giuseppe per aver letto questo breve studio che avrei voluto espandere con tante notizie e tanti pensieri. E’ stato un pò una sofferenza mia personale nel cercare di sintetizzare gli aspetti socio- politici e artistici.che connotano i profili di questi due nostri Geni.
      Sento di aver creato un alberello in autunno, senza fiori , nè, foglie e con tanti rami scheletrici, apparentemente morti.
      Ma sono sicuro che il lettore sapiente e paziente,saprà farlo rivivere con la sua immaginazione, facendolo rinverdire, fiorire, resuscitare… e perchè no, godere della fresca ombra che esso produrrà d’estate..
      Questo nuovo salotto letterario virtuale che la Professoressa Murabito ha creato, conoscendo le sue notevoli personali virtù letterarie, la sua cultura e sensibilità, è destinato a crescere
      e a produrre fiori e foglie e ombre fresche d’estate… Grazie per l’ospitalità .
      .

  2. Articolo pregevole, questo di Giancarlo Alu’.

    Ma mi piacerebbe anche mostrare il parere di un altro critico d’arte, Vittorio Sgarbi, personaggio che adoro nonostante la sua teatralita’.

    Sgarbi afferma che il Barocci non fu mai grande perche’, nonostante la sua tecnica raffinatissima, non riusci’ mai ad uscire dall’ambito del Rinascimento.

    La conclusione di Sgarbi: “La perfezione e’ il suo limite (del Barocci). L’imperfezione e’ la grandezza di Caravaggio”. Sublime.

    Ecco il video:

    https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/video/due-minuti-di-storia-puntata-59-vittorio-sgarbi-barocci-1.3892842

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