IL VECCHIO E LA MUSICA

La conversazione si trascinava, educata e formale, a proposito di una compravendita. La signora mostrava un velo di affettuosa mondanità. Io facevo del mio meglio, navigando in acque a me poco note. Non vedevo l’ora che mio marito e il perito tornassero dall’appartamento accanto al nostro: il tecnico lo stava misurando all’infinito. L’anziano marito della signora appariva lento e poco interessato.
Il disagio si materializzò nel silenzio. Volevo cambiare discorso.
– Come sta? – azzardai, rivolta al vecchio.
Con la mano fece un gesto che gli evitava la pena di una risposta.
Sapevo che era “pazzo” per la musica. Così aveva detto tante volte la moglie, così aveva detto lui stesso.
Gli parlai, come si parla a un amico.
– Ho scoperto recentemente un quartetto di Beethoven: il n.15 dell’Opera 132. Lo conosce?
– Li conosce tutti, li ha tutti – intervenne la moglie. Il vecchio scuoteva lentamente la testa.
Era con lui che volevo parlare.
– Ricorda la poesia di Schubert, ricorda “La morte e la fanciulla”?
Il vecchio questa volta assentì e cominciò a ripetere, un po’ biascicando, il titolo del famoso quartetto, “Der Tod und das Mädchen”.
Si perdeva, ma non tanto da non dirmi:
– E quante edizioni! Ogni volta che andavo a Londra a trovare mio figlio…
Io insistevo nella mia descrizione.
– Nel quartetto di cui le parlo non c’è la freschezza di Schubert, non c’è la disperazione di certi brani di Schumann, anche la disperazione ha un colore diverso quando si è giovani. Beethoven invece era malato, solo, infelice, ed esprime in quest’opera uno sfinimento e una malinconia che inchiodano. E tuttavia, affiorano tracce di un ardore antico. La bellezza di certe lingue di fuoco che si producono all’improvviso quando si pensa che la legna sia ormai esaurita.
Mi vergognai subito delle mie immagini e gli dissi, semplicemente:
– Lo cerchi, tra i suoi dischi. Non abbandoni la musica.
– Vede, signora, la musica non mi interessa più come una volta.
Così mi rispose, e ora non si perdeva. Nei suoi occhi c’era un inizio di pianto. E la nostalgia del passato.
“È come se stessi combattendo per lui”, pensavo. “Gli altri rischiano di cancellarlo, con la loro prosa. Io invece sto parlando della vita, della morte, del rimpianto. Della musica “.
– Lo cerchi, lo ascolti. Ne parliamo la prossima volta.
Ma, quando gliene riparlai, lui non sembrava ricordare. Mi ripeté che la musica non gli interessava più. Questa volta a ciglio asciutto, senza dolore negli occhi. La vita era più lontana.
“È dunque questo morire?” mi chiedevo. “È questa, quella bellezza del dolore di cui qualcuno parla, senza sapere bene cosa potrebbe essere? Se non si sente più la mancanza dell’amore, degli amici, della musica, la morte è vicina. Forse la si è già accettata. Forse è già arrivata. È lo sgomento di questa presenza ad esigere per sé ogni spazio. Come quel meccanismo che toglie il volume agli indumenti da riporre, comprime e asciuga i sentimenti, e poi li getta insieme alle altre insignificanze in quella voragine di fumo che è la perdita di sé.”
Non sono in grado di rappresentarla, la bellezza del dolore. Però la sento e la vivo ogni volta che vedo la tenda da campeggio, confezionata e inutile nel ripostiglio. La casa dei miei viaggi con Marzio.
Non distolgo lo sguardo e non mi vieto di rimpiangere. Non voglio morire.

Anna Murabito  alimarbit@yahoo.com

 

IL VECCHIO E LA MUSICAultima modifica: 2020-06-07T14:20:13+02:00da helvalida
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5 pensieri su “IL VECCHIO E LA MUSICA

  1. devi scrivere. Hai un fascino strano e perverso. Mi fai riflettere tanto sulle tue parole.Tuttavia hai la capacità di non intristirmi.Finisco di leggere e poi ricomincio con la certezza di aver capito tutto e con il piacere di voler risentire il volo delle tue parole. Ma da dove vieni ,gentile amica, e dove hai potuto accumulare tante passioni e tanti sentimenti ? In quale emisfero sei vissuta? ho già inviato tutto a Lavinia.So che mi ringrazierà.

    • Carissima Lina, la tua capacità di penetrazione e condivisione è rara. C’è una frase di Beethoven che mi piace: “Non ho mai pensato a scrivere per la fama e la gloria: ciò che ho sul cuore deve uscire, e per questo scrivo”.
      Il genio è diverso, la spinta identica.

  2. Questo brano è molto più efficace di un qualunque quaresimale gridato dal pulpito. Non è soltanto la viva rappresentazione del dolore di chi vede la vita allontanarsi, è anche il cambiamento di prospettiva, perfino riguardo alle cose che si sono molto amate, nel momento in cui è chiaro che presto si dovrà rinunciarci. La narratrice, che pensa di avere ancora diritto a godere della bellezza che la vita riesce ad offrire, usa questa bellezza come un salvagente da gettare al vecchio. Ma lui, più che rifiutarlo, sa che non lo aiuterà a sfuggire al suo destino, fin troppo incombente.
    Forse questo è il modo più disperato di rappresentare l’amore per la vita e la bellezza. La saggezza ci insegna che tutto è vanità delle vanità, ma questo è un concetto. Quando invece il tempo fugge via dissanguandoci come una safena inguinale recisa, e da vivi ci alleniamo all’idea di essere morti, la vanità delle vanità diviene non più pensiero, ma emozione, e angoscia, e quieta disperazione.
    Se la narratrice non è riuscita a risvegliare la vita nel vecchio, il vecchio, con la sua rassegnazione, ha risvegliato in lei una vindice vitalità, una protesta contro il nulla: “Non voglio morire”.

  3. devo gridare BRAVO a gianni per la forza che ha di vivere accanto a te e di gridare ancora che vuole vivere. Non avevo pensato alla vita che deve finire e non ci voglio pensare perchè aspetto con pazienza che tu abbia ancora tante cose da scrivere. Con questo mio desiderio sono certa che resterò per tanto tempo su questa terra e attenderò i tuoi pensieri.

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