SCUOLE DI SCRITTURA CREATIVA

La bottega di Verrocchio era frequentata da molti ragazzi che imparavano a disegnare e a mescolare i colori. Uscirono molti onesti pittori, da quella bottega. Ma un solo Leonardo. Si può insegnare la pittura, non l’arte.

La nostra società è percorsa da uno strano fenomeno: in un momento storico così povero persino di cultura elementare, si cerca di “produrre” scrittori e poeti. Proliferano le Scuole di Scrittura Creativa per una “creazione” da catena di montaggio: autori su vasta scala, quasi fossero robot all’ultimo grido. Di fatto, anche se le scuole riuscissero ad insegnare, oltre a una buona lingua, una tecnica “compositiva”, in caso di successo produrrebbero scrittori indistinguibili, di serie, del tutto sprovvisti di originalità.  Così, tutti forse scriverebbero il loro libro, ma nessuno lo leggerebbe.

La tecnica, la disciplina, l’obbedienza agli schemi non creano arte. Basti dire che tutti i diplomati del Conservatorio suonano perfettamente il loro strumento, ma pochissimi fra loro divengono concertisti. Inoltre, qualunque scuola, nel campo creativo, aderisce ad una sorta di “manifesto”: per esempio ancora nel Rinascimento il dovere era “Ars gratia Dei” cioè “ad maiorem Dei gloriam”. E se l’arte è stata creata lo stesso, è perché la musica non si concilia con la propaganda e la pittura può ignorare il messaggio religioso per esprimersi secondo i suoi propri canoni. Basti pensare a Caravaggio, capace di farci “innamorare” del didietro di un cavallo, più che della folgorazione di Paolo di Tarso. Per non parlare infine di chi ha voluto mettere l’arte al servizio della causa proletaria, come l’“arte socialista” che avrebbe voluto imporre Mosca, e che non raramente ha prodotto solo tentativi.

Oggi pochi temerari ignorano addirittura le Scuole di Scrittura e pretendono di fare da sé.  “Cosa vuoi fare?” “Voglio scrivere un libro”. “Su quale argomento?” “Non so, si scriverà da solo”. Questo ho sentito dire ad una giovane donna, che partecipava a un quiz televisivo. Poco importa che la potenziale autrice non abbia mai “letto” un libro, non sappia chi siano Catullo, Shakespeare, Dostoevskij.

Le Case Editrici, comunque, per mettersi al riparo da qualche scrittore tradizionale (uno con la testa, col cuore e con qualche nozione di letteratura) che produrrebbe invariabilmente un fiasco nelle vendite, cercano innanzi tutto una platea di compratori precostituita. Se sui social network qualcuno ha molti followers, c’è la speranza di sbolognare agli allocchi migliaia di copie inutili di un “libro” inutile. Così molti editori finiscono con l’inviare alle librerie poveri balbettii che chiamano “modalità espressive del nostro tempo” per coprirne la vacuità e a volte l’implausibilità. Sono ancora più audaci delle rinomate Scuole di Scrittura Creativa che sfornano sedicenti scrittori in batteria, nei cui racconti c’è l’identico sapore grigio di pomice o la ricerca della meraviglia a tutti i costi: ogni rigo un fuoco d’artificio. Che fa flop nel cielo.

Quella della scrittura è un’epidemia che non risparmia i personaggi più noti. Anzi, sono proprio loro i paradigmi (e principali beneficiari) della nuova moda. In ogni talk show su qualunque canale televisivo gli invitati si presentano con il loro ultimo libro. La notorietà dà il titolo di scrittore, mentre scrivere eventualmente un capolavoro non dà la notorietà. Alcuni di questi “autori” sono qualificati professionisti, tutt’altro che degli sciocchi, ma è indicativo che in tanto il libro gli è stato pubblicato, in quanto il nome era già familiare. E forse non basta neanche questo, visto che si adattano a farvi pubblicità, confermando che si tratta dopo tutto di un’operazione di marketing, i loro libri lavano più bianco del bianco. Moderna simonia.

Esistono anche le scuole di poesia. Unico maestro un ermetismo deformato, addomesticato e involgarito. Un ermetismo popolare, ridotto ad evanescenza della parola e del cervello. Sorprendente come scrivere un verso scegliendo il primo lemma delle pagine dispari di un dizionario. Confusione. Promiscuità di termini e di idee. Fasci sconsiderati di parole. Fumo. Anzi, fuffa. Perché il fumo ha una sua eleganza. Si cerca di forgiare soldati della poesia addestrandoli a giocare con questa fuffa. Solo che la poesia non è indistinta vaghezza, non è nebbia, non è fumo: è coltello. È la vigoria di Dante, la passione di Foscolo, la maledizione di Rimbaud.

Mi è capitato di leggere delle poesie (premiate) di sedicenti alunni delle Scuole Medie che avevano frequentato una Scuola Creativa, e la prima impressione che ne ho ricavato è stata quella di ostentazione e supponenza. Falsità. Un ragazzino di dodici anni – forse copiando le frustrazioni di un qualche maestrino dalla penna rossa scrive: Ubriachi di rivelazioni/che liberano i pensieri/rinchiusi nel punto/più profondo del cuore/siamo noi, gocce/di povere vite.

 Rivelazioni?

Nonostante tutto/non so dove sia finito/il mio amore./Forse è disperso/tra nostalgia e peccato/ed a me sembra perduto.

Amore? Nostalgia e peccato?

È dentro di me/o dentro di te/o forse nei giardini qui fuori/io so solo che il fiore universale/verrà sempre calpestato dall’uomo.

Fiore universale? Ammesso che abbia un significato, c’è in atto una vertiginosa astrazione, inconcepibile in un bambino di dodici anni. Forse il ragazzino alludeva al fiore universale sul quale si posa l’Angelica Farfalla dantesca. Essa soltanto avrebbe le dimensioni adeguate. Ma nemmeno questo è possibile, Dante si studia cinque anni dopo.

Ti ho scoperta/nell’ombra del vento./Ti ho visto/nel pensiero di un gabbiano/in volo per l’isola amara/del tempo perduto.

Questa è la più felice, quella che “suona meglio”. Ma la poesia non è casualità. Dubito che possa essere accusato di calligrafismo chi non conosce ancora la grafia.

C’è chi parla di Ali di libertà/voli sfrecciati nell’aria/con una maschera di ferro/accarezzato dall’elio splendente/…. Ali d’abisso/nell’infinito essere del cuore.

Astrazioni forse prive di significato, neanche brutte, ma del tutto al di fuori della portata degli attuali ventenni.

E c’è chi si autoqualifica: Siamo insignificanti angeli/in abissali mondi di uomini…

In questi giorni d’incresciosa felicità/vedo risolti nei tuoi occhi i miei/ sperando sempre/che la tua vita incontri la mia,/prima o poi.

Mi sono fermata di fronte all’“incresciosa felicità”. Che sarà mai questo strano ossimoro creato fresco fresco per dodicenni? Non sarà, mi sono detta, che il professore che ha curato l’editing (se questo è editing) della poesia avesse in mente Cardarelli (“la nostra incresciosa intimità”)? “Felicità”, “intimità”, insomma non c’è tanta differenza. Sono ambedue parole quadrisillabe in “à”.

E che strani dodicenni sono questi, che parlano di nostalgia, come se sapessero cos’è, come se avessero un passato (cosa ridicola, come un ottantenne che spiegasse che cosa farà da grande) e di peccato, come se dovessero prepararsi alla Prima Comunione? A quell’età il codice non li condanna nemmeno se uccidono, e loro parlano di peccato? Tutti i dodicenni e le dodicenni che ho conosciuto, pensano alla squadra del cuore per cui farebbero pazzie, al sesso (vitale, invadente scoperta), al vestito nuovo, al lucidalabbra e al cuore che accelera vedendo un compagnuccio. Certo, mutando i costumi, anche al saggio di danza e alle gare di nuoto. Ma come tutti, sempre, al primo amico e all’aquilone.

Povera poesia. Siamo passati dal “lucido dérèglement di tutti i sensi” di Rimbaud, alla poesia seriosa e compunta da oratorio, una poesia di obbedienza, per compiacere gli adulti, la retorica e il vaniloquio. Una poesia da api operaie. Poveri teneri bambini-poeti, così li voglio chiamare. Hanno obbedito, e gli adulti per premiarli li hanno messi sotto vuoto, hanno offerto pulcino in batteria, divenuto scatoletta.

Rimane un sospetto. Che degli intellettuali di piccolo cabotaggio abbiano approfittato dei nomi dei ragazzi per “editare” componimenti poetici che non avevano attirato l’attenzione nemmeno dei parenti più stretti.

Anna Murabito alimarbit@yahoo.com

SCUOLE DI SCRITTURA CREATIVAultima modifica: 2020-06-23T16:17:02+02:00da helvalida
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