UN ARTICOLO

di Gianni Pardo

LA MORTE DELLA STELLA POLARE

Un gentile corrispondente mi ha mandato un’intervista di Martin Heidegger(1), pubblicata postuma per sua volontà nel 1976, nella quale il filosofo propone un’eccellente difesa contro l’accusa, così frequentemente e spensieratamente scagliata contro di lui, di essere stato un nazista. Purtroppo poi intervistato e intervistatore [dello Spiegel) si lanciano a parlare di filosofia e spesso non sono riuscito a capire che cosa intendessero, neanche ricorrendo alla traduzione in inglese di cui disponevo. E tuttavia ho anche letto una frase che ha valso tutto il tempo perduto a non capire ciò che leggevo. Eccola (pag.209): “Die Rolle der Philosophie haben heute die Wissenschaften übernommen”, il ruolo della filosofia oggi è stato assunto dalle scienze. E più oltre (pag.210) “Die Philosophie löst sich auf in Einzelnwissenschaften : Psychologie, Logik, Politologie”, la filosofia si scioglie in singole scienze: psicologia, logica, politologia.

Questo concetto, che a molti può sembrare ovvio, mi ha colpito. Nell’epoca contemporanea è facile incontrare persone che reputano la filosofia un’occupazione di attardati perdigiorno. “Non se ne occupa più nessuno” direbbero. E sono certo che l’affermazione potrebbe incontrare molti consensi. Tuttavia essa è fondamentalmente falsa. Non perché in segreto tutti studino Epicuro o Nietzsche, ma perché tutti devono inevitabilmente affrontare nella vita la distinzione fra bene e male, fra importante e non importante, fra giusto e ingiusto. Che lo vogliano o no, tutti si pongono il problema del senso dell’esistenza, dello scopo della vita, dell’amore, del successo, della morte. E se questi problemi non se li pongono coscientemente – anzi, e se la maggior parte degli uomini non se li pone coscientemente – nondimeno li risolvono praticamente, col loro modo di vivere. Mietendo poi ciò che hanno seminato. E non di rado meravigliandosi dell’esiguità del risultato.

E tuttavia anche queste constatazioni potrebbero urtare contro l’ironia del contemporaneo. Mi si potrebbe accusare di attribuire alla nostra epoca un torto che hanno avuto tutte le epoche. Anzi, oggi gli analfabeti sono rari e un tempo erano rari quelli che erano in grado di leggere e scrivere. Con quale coraggio si può affermare che gli uomini normali fossero più “filosofi” un tempo di quanto siano oggi?

Obiezione fondata, se non fosse per un punto fondamentale. Un tempo gli uomini, pure più ignoranti di oggi, la domenica andavano a messa e, anche non comprendendo niente di teologia e non molto neppure di dottrina cristiana, credevano comunque in Dio. Per giunta un Dio provvidenziale, che si poteva pregare, che presiedeva alla realtà umana, che poteva intervenire, che giudicava dopo la morte, premiando i buoni e castigando i cattivi. Saranno state favole – almeno, per i miscredenti lo sono – ma costituivano lo scheletro di una filosofia. Perfino le frequenti bestemmie, che oggi non si odono più, testimoniavano la presenza di Dio nella società. Ciò che insegnava il prete forniva una risposta alle grandi domande. Si potevano non prendere sul serio, quelle risposte, si potevano anche non seguire i precetti impartiti dal pulpito, ma nessuno si sognava di metterli in discussione.

La società, nel suo complesso, era cristiana. Non cristiana fervente; non cristiana in modo intellettuale, cioè sapendo in che cosa credeva: semplicemente non negando quella visione del mondo e non contrapponendogliene nessun’altra. Ché anzi, spesso, la gente non aveva nemmeno idea che se ne potesse avere un’altra. Basti questo esempio: per moltissimi, ancora oggi, la morale è una ed una soltanto, quella cristiana. L’idea che se ne possa avere un’altra, addirittura sorprende. Pensatori come Voltaire o Nietzsche sono stati visti come pericolosi, eversivi e immorali, proprio perché anticristiani.

Ecco la novità dell’epoca contemporanea. La religione è morta e la certezza fondamentale di tutti è passata dall’esistenza di Dio alla validità della scienza. Un tempo, se qualcuno moriva, si diceva che “Dio l’aveva chiamato a sé”, “Era la sua ora”. Oggi ci si chiede se la scienza poteva salvarlo e magari si ipotizza di intentare un processo al medico curante. Non a caso, le estrose università americane fanno ricerche sociologiche sui più strani quesiti, del tipo: “Le mogli adultere sono più longeve delle fedeli?” “Fanno più carriera coloro che portano gli occhiali o quelli che non ne hanno bisogno?” “Che rapporto c’è tra obesità e infelicità?” e via dicendo. Un tempo ci si occupava di metafisica – sia pure sub specie religionis – o, essendo colti, di filosofia, oggi si crede che i massimi problemi possano essere risolti dalla scienza. Naturalmente rimanendo delusi perché la scienza quei problemi non li può risolvere.

La morte della filosofia – cioè del pensiero che si occupa dei problemi fondamentali –  sembra corrispondere alla morte della Stella Polare. Gli uomini non sanno perché vivono. Non sanno che cosa devono cercare di ottenere e da che cosa si devono guardare. Non sanno se l’imperativo di comportarsi bene è un dogma in sé (Immanuel Kant, ma la gente non lo sa) o una strategia da adottare nel nostro interesse (utilitarismo, ma neanche questo la gente sa). La nostra società vive a caso, senza un programma e senza una bussola. E se alla fine è assalita dalla depressione non si chiede se ha sbagliato vita, ma se ha sbagliato antidepressivo. Il Prozac al posto di Seneca.

Perfino la stima che si ha in giro per la scienza è malata di un’incomprensione di fondo della scienza stessa. Se l’avessero capita, il magico non avrebbe tanto posto, nella nostra società. La scienza, come l’ha concepita Galileo, ha una sua rigorosa logica interna e una sua mentalità che spesso si rivela inesistente nella gente comune. Da un lato tutti vorrebbero che la scienza risolvesse tutti i problemi (“Ma come, oggi si va sulla Luna e tuttavia…”) dall’altro prosperano ancora cartomanti, oroscopi, pregiudizi, e una sorta di “religione del mistero” che tiene luogo, per molti, di “inquietudine metafisica”. Cioè il farsi un vanto del proprio disorientamento.

In questo senso Heidegger parlava del fatto che la scienza – concetto in sé augusto, come l’hanno concepita Bacone, Galileo, Newton – si è spezzettata in tante sotto-scienze. Perché le sotto-scienze sono tecniche, non teoriche. Non visioni della realtà, ma soluzioni di problemi particolari, nella misura del possibile.

Questo quadro della società è drammatico più di quanto non si pensi. Di fronte al problema del senso della vita, ci sono fondamentalmente due soluzioni: o quella religiosa, per ciò che vale, o quella di affrontare a viso aperto l’assurdità del reale. Avendo il coraggio di essere atei, orfani e mortali, dopo aver perso la religione.

Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com 

10 agosto 2020

(1)https://bublitz.org/wp-content/uploads/2018/03/Heidegger-Spiegel-31-05-1976.pdf

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UN ARTICOLOultima modifica: 2020-08-26T14:17:30+02:00da helvalida
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