ECHI DI BRETAGNA

Brani da un mio romanzo

C’è una strada che da Morlaix porta a Carantec che non è una strada ma un luogo dello spirito. Bisogna tenersi il sole alle spalle e sprofondare col cuore nelle alghe nocive e maleodoranti che mangiano la terra, nelle tracce d’argilla che si intravedono sul letto dell’aber e poi far riposare lo sguardo sul mare che si apre e si allarga disegnando via via infiniti contorni, dolci anse, inutili nascondigli. La nebbia sottile confonde gli occhi e le cose, temperando, ma solo un poco, la spietata poesia del paesaggio bretone.

L’abbiamo percorsa molte volte, Valerio ed io, e con ogni clima, nei nostri infiniti pellegrinaggi d’amore in Bretagna, ogni volta pensando che fosse l’ultima. Ma allora, in quel maggio

 …

I campeggi bretoni non erano ancora tutti aperti, ovunque c’era umidità e silenzio, interrotto dal canto di ogni tipo di uccello, compresa la tourterelle turque, col suo grido straziato, infelice e gutturale

La mattina andavamo in gita con Fabrizio, chilometri e chilometri di paradiso, guardando i fari e la bassa marea fin dove l’occhio arriva, i posti segreti dove un fruscio è fragoroso come una valanga. Il muschio e i rododendri ovunque, nel freddo fiorito e ventoso della primavera bretone. Mangiavamo a pranzo un po’ di pâté col pane fresco, pessime ciliegie e un sorso di birra direttamente alla bottiglia.

Compravamo ogni giorno salmone affumicato, frutta secca di ogni genere e soprattutto le langoustine, piccoli scampi dell’oceano che poi Michelle buttava per pochi minuti in una grande pentola d’acqua bollente. Preparava la maionese in una piccola ciotola e mi diceva divertita:

-Non mi guardare, se no non mi riesce. Ma le riusciva sempre. C’era il pane fresco, il burro salato, anzi demi-sel, e il Muscadet freddo.

 …

 

Da una lettera a un amico

Continuo a pensare ai fiori tardivi dell’autunno. Li ho visti in Bretagna, l’anno in cui avevamo preso in affitto una casa in campagna. Con la luce immobile e  spettrale delle otto di sera, oltre la metà di ottobre, quando già a quelle latitudini le edere e i muschi guadagnano terreno lungo i muri. I primi geli li avrebbero spazzati via, ma loro, anche se un po’ scomposti per le prove sostenute, continuavano ad ostentare i loro colori. La bellezza che non sa di morire, anzi, che non sa di essere.

Qui in Sicilia i fiori tardivi ci sono a dicembre e in quel mese non è insolito vedere accanto alle quasi mostruose Stelle di Natale forzate in serra, la naturale opulenza delle buganvillee. Ritornando alla Bretagna, quell’anno ho lasciato la “nostra” casa con la morte nel cuore. E’ l’unica casa che Marzio ed io abbiamo costruito assieme. Anzi, a dire la verità, dopo avere fabbricato genialmente il letto già progettato (nei negozi di bricolage abbiamo solo comprato viti, dadi, bulloni e grandi tavole di legno che Gianni ha segato con una quasi altrettanto grande sega di ferro appartenuta a mio padre e portata dalla Sicilia) l’artefice vi si è sistemato e ha dichiarato più o meno che la casa era finita. D’accordo, il letto era completo di comodini e c’era perfino una lampada da lettura, ma definire quella casa “essenziale” è un eufemismo.

Eppure vi  abbiamo vissuto, in due riprese nel corso di un anno, cinque mesi felici in totale solitudine. Solo musica e lettura con qualche passeggiata che, spaventata per la sua assoluta immobilità, imponevo a Marzio. Io che ho sempre abitato in città ho sgranato gli occhi sui fiori di campo; ho sentito le macchine agricole lavorare a giugno fino alle undici di sera con l’ultima luce. Il frumento e il mais hanno dato un senso a ciò che si definisce “rotazione delle colture”. E poi il silenzio e ancora tutti i rumori del vento e della pioggia, i tramonti infiniti e le albe lente, i castagni secolari e il coniglio selvatico che veniva a visitarci.

Una notte ho riconosciuto Orione senza occhiali. Su quel famoso letto Marzio ha scritto un suo lungo racconto d’amore, “Oleg”, a mano. Sul bel tavolo della cucina che poi abbiamo regalato io ho scritto lunghe lettere agli amici e ogni giorno ho aspettato l’arrivo del postino, sperando in una risposta.

Quest’anno siamo andati a rivedere la nostra ex casa. Con due camper parcheggiati proprio davanti, priva delle felci invadenti da cui sembrava spuntare, vista dalla strada, mi è sembrata spoglia ed estranea. Ho chiesto a Marzio di andarcene presto.

Ma questa non è la Bretagna, è solo una fettina piccola di essa, che ho avuto la ventura di conoscere intimamente. La Bretagna è soprattutto il mare, l’oceano che ruggisce, l’immensità delle spiagge, le chiese minuscole, le maree, i pescherecci smaglianti e le barche vecchie e putrefatte. È la luce abbagliante del cielo, le piogge sottili, il grigiore diffuso, le vacche bianche e nere su prati verdissimi. Quest’anno ho anche visto un cervo. Seduto su un pendio erboso e fumante nel sole del mattino dopo una notte freddissima, sembrava felice. Io mi chiedevo se mai sarei riuscita ad esistere con altrettanta serenità.

Qualche anno fa ebbi a dire che quando sarà giunta l’ora, voglio morire in Bretagna, adagiata su un fianco come una vecchia barca sulla spiaggia. Tento anch’io di esorcizzare, con l’inutile poesia delle cose, il brutale non senso dell’esistenza.

Anna Murabito     alimarbit@yaooh.com

ECHI DI BRETAGNAultima modifica: 2020-12-04T11:23:48+01:00da helvalida
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