PENSIERI DA LOCKDOWN 4

di Peter Patti

Domenica sera! Oggi non è accaduto nulla o quasi… Ho cucinato, di mattina (riso al tonno, insalata, pane fatto in casa… sì, infornato da me…) e dopo ho fatto una siesta. Ma il giorno prima, Sabato!, è stata una gran giornata, che ho pure vissuto con spirito ben diverso.

“Heyheyhey! Mannomann!” Questa la mia esclamazione nel constatare che hanno riaperto le gelaterie (sebbene troppo presto, secondo me…). Sia davanti al ‘Gondola’ che davanti al ‘Venezia’, ho visto – Sabato! –  file interminabili.

(Scrivo “Sabato!”, maiuscolo e con il punto esclamativo, anziché il semplice “sabato”, perché lo ritengo il giorno più importante in assoluto… almeno in questo mio periodo dell’esistenza.)

Sabato! La gente, con il primo rischiararsi del cielo, si butta in strada. Le gelaterie hanno da offrire gelato e coffee-to-go, tutto “to go” in quanto ovviamente – vedi regole per via del Coronavirus – non ci si può sedere dentro (e le terrazze, nel caso, verrebbero installate solo da fine marzo in poi). Ora, io dico: vabbe’, sei tedesco e hai bisogno di suggere i raggi del sole, vabbe’, ti piace il gelatino e/o a casa tua diventi matto e perciò vuoi andare fuori, sia tu un vecchio sia tu – a maggior ragione – un giovane, allo scopo di guardare e farti guardare (la giornata è lunga: dal cappuccino-to-go alla birra-to-go al pranzo-to-go, poi una passeggiatina attraverso le viuzze costipate della cittadina e poi qualcos’altro-to-go, forse un bel “schaschlick” oppure il “börek” o il “döner” presso l’Anatolico; e poi su una panca a seguire sul telefonino le partite della Bundesliga masticando qualcos’altro e poi torni alla gelateria e infine prima di andare a casa ordini, in uno dei numerosi locali italiani, la pizza – o il maccherone-to-go), ma dico io: almeno, mentre fai la fila o passeggi, vuoi mantenere le distanze e tirare su quella mascherina del katz?!?

Ho visto gruppi soprattutto di giovani che di sicuro non sono appartenenti a uno stesso nucleo familiare, sono solo “normali” amici o compagni di studio o lavoro, dunque individui di diverse famiglie (ma il decreto governativo parlerebbe chiaro: ci si può unire per strada o persino a casa propria, senza mantenere le distanze, soltanto se si fa parte di una sola famiglia, o al limite se si tratta di – massimo – due nuclei familiari), e ciò fa rabbia, fa rabbia soprattutto a fronte delle notizie secondo cui le cifre delle infezioni, l’indice del Corona, sono di nuovo in rialzo, in tutti i Länder, e stavolta ci sono di mezzo anche le imprevedibilissime varianti del Biafra, dell’Australia, del Bengala o Dio-solo-sa-da-dove-altro.

Ho promesso a mia moglie di andare a passeggiare con lei anche per dare il benvenuto a Massimo (quello della ‘Gondola’) e all’altro semiconnazionale del ‘Venezia’. È un rito per noi: quando riaprono, all’approcciarsi della primavera più che dell’estate, andiamo a prendere qualcosa da loro (poiché sleccare il gelatino e guardare e farsi guardare piace anche al signor uomo, all’Eccezionale Scrittore) e gli auguriamo una “Buona stagione!” (stagione che qui in Germania, o comunque a Wasserburg, è lunghissima rispetto a quella italiana: qui questi gelatieri rimangono chiusi solo tre mesi, tre mesi e mezzo max, evidentemente il denaro non puzza e fa ancora gola a tali già satolli imprenditori), “e così, cara mogliettina, andiamo pure, però giuro: se qualcuno, mentre facciamo la fila, mi fiata sul collo, o mi spinge allo scopo di andare più velocemente in avanti, evitandomi in tal mondo di mantenere il metro e mezzo di distanza da chi mi precede, mi arrabbio sul serio!”

(Poi mi è capitato di arrabbiarmi, sì, ma ho preferito non darlo a vedere. Avrei dato troppo spettacolo e, in una cittadina che è anche sede di un nosocomio per malati mentali, è preferibile mantenersi tranquilli. Uno dei miei incubi è che un giorno vengano a prendermi per infilarmi nella camicia di forza. E chi mi libera più?)

Sono belle giornate, ad ogni modo, con la temperatura che è salita a 10 gradi. Quando vado in macchina (ormai solo rigorosamente al lavoro: niente più vere e proprie crociere di piacere), ho una visione della corona alpina (che va dalle Alpi Bavaresi a quelle Austriache: ho l’intero quadro davanti a me, come l’immagine su un Atlante del Sud Germania) davvero fantastica, se il cielo è chiaro – come lo è sempre più spesso da quando il virus ha fatto chiudere parecchie fabbriche e smorzato di molto il traffico – e posso individuare le singole cime, di non poche delle quali conosco il nome. Ogni tanto, uscendo da una lunga curva a 80, 90, 100 chilometri orari, getto un’occhiata alla catena montuosa che mi si staglia come una cartolina sul parabrezza e mi dico, sorridendo: “Là ci sono già stato, quella montagna la conosco come le mie tasche, quella invece devo ancora esplorarla …”.

Mary, la “moglierama”, credo Sabato!… sì, Sabato! sera… mi ha tagliato i capelli… eh sì, perché c’è anche questa seccatura della chiusura a oltranza dei ‘Frisöre’ (da “Frisur”, che significa capigliatura), delle ‘coiffeuses’ dunque. Vanno molto forte, di questi tempi, macchinette per tagliarsi i capelli da sé, oltre a prodotti cosmetici tipo certi spray “magici” che ricoprono, con una spruzzatina, le zone di grigio all’attaccatura dei capelli. Inoltre – ovvio – fiorisce il mercato nero: molte ragazze che fanno la parrucchiera (pagate malissimo: è uno dei mestieri a rischio povertà che caratterizzano lo sfruttamento in corso fin da sempre qui in Germania, e la scusa è che queste ragazze sono apprendiste e non lavoratrici ‘tout court’, apprendono il mestiere per potersi un giorno aprire una propria parruccheria… sic!) offrono i loro servigi a domicilio, senza fare la fattura, ovvio, e io, (o meglio la parte maligna e cinica di me,  quella che risponde al nome “franc’O’brain”), che sono stato altresì giovane e nubile… ehm… scapolo, immagino benissimo le complicanze erotiche che sorgono quando una bella ragazza, ma anche una di origini contadine e forse un po’ rozza, dai modi non proprio aggraziati, eppur vitale e non proprio da gettar via, arriva in casa a tagliare i capelli a – putacaso – due fratelli, oppure a un uomo solo, o a un pensionato ancora piacente (ma non esiste! da vecchi, tutti gli uomini sono brutti a vedersi!… tranne me, ovviamente), o, ancora, a una coppia annoiata e in cerca di episodi piccanti atti a ravvivare la scialba telenovela della loro esistenza.

Quando eravamo ragazzi, in quel di “Traumfurt”, facevamo guadagnare qualche soldino extra alle nostre coetanee, o erano anche più giovani di noi, che avevano la ventura di lavorare presso un parrucchiere. Le conoscevamo dalla latteria, dalla gelateria, dalla discoteca… allora si socializzava in maniera incredibile. È il bello dell’essere giovani. (Cfr.: ‘I Canachi’, la cittadina di Traunreut, mia prima tappa teutonica, nel romanzo tramutata in Traumfurt, appunto.) Queste puelle (puellae) venivano a tagliarci i capelli quando eravamo in pausa lavoro, e alcuni degli italiani si sono ritrovati così accasati, addirittura. (Poi divorziati con figli, ma questa è un’altra storia. Ne ‘I Canachi’ non potevo inserire tutto-tutto, così mi piace dirlo a voce a chi me lo chiede. Sì: Nino e Ingrid poi divorziarono, e lui dovette pagare gli alimenti per tre – dico tre! 3, trois, drei, three – bambini. Ma mi pare che accenno a ciò in uno dei paragrafi a inserto, in uno dei capitoletti extra del romanzo, in cui mi permetto di fare non solo dei flash-back ma anche uno o più passi in avanti nel futuro, a osservare il tutto da una posizione temporalmente privilegiata rispetto agli stessi personaggi).

Comunque sia, mia moglie ha fatto un buon lavoro, mi ha tagliato i capelli mentre io in TV seguivo la classica serie ‘Seinfield’ nell’originale americano, davvero divertentissima. Non mi sono dunque accorto dell’operazione (nello stesso modo in cui, quando ero sotto i ferri per l’operazione all’occhio, con la mente spaziavo ovunque, lontano, estraniandomi dall’ambiente circostante e pur tuttavia rimanendo ben immobile per non perdere il medesimo occhio, e il cuore gioiva a pensieri, ricordi e visioni che hanno allietato quell’ora e passa che altri invece hanno vissuto come una vera tortura – e alcuni lo hanno perso per davvero, il bene della vista, per un errore loro o del chirurgo).

E dopo la “tagliata di capelli” (che dolce la mia ‘coiffeuse’! Ma lei ha solo preso la revanche, per così dire, per il fatto che io nel mattino ho cucinato per lei, facendola sentire una regina, presentandole una portata dopo l’altra, binomio di orecchiette in salsa verde e in salsa rossa, insalata con dressing “Caesar”, pere caramellate con succo di mandarino e scorza glassata dello stesso frutto in aceto balsamico e basilico, il tutto innaffiato con un Vermentuzzo dell’Umbria), dopo l'”operazione estetica” mi sono messo davanti allo specchio e ho gioito: finalmente avevo riacquistato le mie sembianze da uomo! Per troppe settimane ero andato in giro (vabbe’, coi capelli nascosti sotto al cappellino di lana, ma uno si sente lo stesso a disagio) come un vero pagliaccio, sembravo Woody Allen – quello de ‘Il Dormiglione’ e ‘Amore e guerra’ – solo più grosso e più largo dell’originale.

Finalmente ho di nuovo le orecchie scoperte (orecchie a sventola ormai, per via dell’elastico delle mascherine… ma mi è arrivato per fortuna venerdì, via Amazon, un set di strisce di silicone, di gomma insomma, che si mettono dietro la nuca, e l’elastico va ad agganciarsi lì, risparmiandoti dunque i già strapazzatissimi padiglioni) e, con la barba di tre giorni e le palpebre stanche per aver letto e guardato film troppo a lungo già tra venerdì sera e domenica, sembro un attore: affascinante e – ‘permettez-vous!’ – ancora scattante.

Vabbe’, ora chiudo. C’è tanto da fare nella vita. Sto sorbendo un buon caffè seduto davanti al laptop. Ci sarebbe da lavorare a ‘Durandus’, ma le tentazioni sono tante e sono forti. Nella camera che ho adibito a mio ufficio sono accesi diversi altri dispositivi, non soltanto il laptop: TV, telefonino, stereo. Al telefonino scorre l’app di Rai Radio Player, per udire le notizie e le altre novità – anche culturali – dall’Italia, allo stereo c’è uno dei CD che ho ricevuti nell’ultimo mese. Dovrei scrivere un paio di recensioni (anche per due-tre libri), ma la sto tirando un po’ troppo per le lunghe. Gioco, invece di lavorare… E ho giocato anche domenica scorsa, infastidito dall’idea, idea simile a un moscerino insistente e appiccicoso, che quella era una domenica corta, una domenica decurtata delle ore serali… giacché all’indomani sarebbe stato già lunedì e questa settimana ho il turno che mi costringe ad alzarmi prestissimo.

 

 

PENSIERI DA LOCKDOWN 4ultima modifica: 2021-03-05T16:33:32+01:00da helvalida
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3 pensieri su “PENSIERI DA LOCKDOWN 4

  1. A leggere queste spassose divagazioni sul sabato tedesco sembra di nuotare felicemente in un mare azzurro e avvolgente. L’autore è uno scrittore di razza (“i Canachi”, libro straordinario) e si gode un anticipo di primavera bavarese tra gelatai, fette di vita domestica e ricordi di scene di strada. Un umorismo diffuso circola tra i suoi quadretti. Ma dove il peter raggiunge il suo massimo è dove spiega che, di fronte a persone che per la via non rispettano le misure protettive anticovid, ritiene preferibile non altercare con loro considerato che nelle vicinanze vi è “una cittadina che è anche sede di un nosocomio per malati mentali… e uno dei miei incubi è che un giorno vengano a prendermi per infilarmi nella camicia di forza. E chi mi libera più?”. Peter regala tanti personaggi di questa recita corale, fresca e vivace, tutti autentici e divertenti. Abilità di letterato.

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