11 pensieri su “PAROLE NAUFRAGHE VOLUME II

  1. Ringrazio Carlo Casagni, coautore per la parte tecnica di questa pubblicazione. Questa piccola impresa è stata l’occasione di un fitto e appassionato dialogo amichevole.
    Grazie, Carlo.

  2. Quello che segue, di Giuseppe Alù, è il primo commento che ho ricevuto, nel 2019.
    Ad esso sono molto legata. Ho finalmente l’occasione di renderlo pubblico.

    Credo di non sbagliare se dico che Parole Naufraghe, raccolta di versi di Anna Murabito, viene ad occupare un luogo speciale nel panorama della poesia contemporanea. Fuori da ogni contingente indirizzo letterario, queste Parole si sollevano nell’atmosfera rarefatta della classicità. Quante volte ho letto commenti gentili e compiacenti su scritti poetici, soprattutto di poetesse casalinghe. Qui non è quel caso. Qui si tratta di una intellettuale che naviga da Eschilo a Mahler ad Haendel, da Ciajkovski a Brassens, che dalla natura assorbe linfe nutritive per la vita. “Ho sentito il dolore dell’erba tagliata a filo a filo”, ha visto nuvole “basse da poterci appendere un’angoscia”, d’autunno la vite americana è “pazza e munifica, ubriaca di colore”. Se morire è “non riuscire a contare fino a due”, ecco che “il sole entra nel mare ed esce luna” e la pietà è “dolciastra con la sua bocca di vecchia”. Al fondo, come una vena sotterranea, tutto riscalda l’Amore potente che “tenace, ruba il tempo al silenzio”e “lo spazio al deserto”. Le immagini le fioriscono ininterrottamente, sempre sorprendenti (raro merito) ed hanno la purezza e l’innocenza del frammento antico. Diffidente all’apertura del volumetto, sono diventato via via sempre più convinto del valore assoluto della scrittrice fino a ritenere di avere tra le mani qualcosa che merita di essere conosciuto non solo dalla cerchia degli estimatori privati. L’autrice, che non conosco di persona, ha la facilità e la felicità del talento naturale nel maneggiare le parole che tra le mani le diventano preziose, come scrive nella originale prefazione di una grazia ed eleganza senza limiti. Sì, direi che un autore di questi carati non può, non deve sfuggire a chi si occupa di cose letterarie. Il panorama dei sentimenti è totale, la vita intera è filtrata attraverso la sua sensibilità che le apre l’interno delle cose. La ricchezza dei sentimenti cattura l’attenzione ad ogni verso e meraviglia la sua inesauribile fantasia creativa. Spero ed auspico che tanta bellezza ed eleganza non rimanga senza apprezzamento generale.
    Giuseppe Alù

    • Assolutamente da leggere e rileggere il commento di peter patti. E’ incredibile quanto sia stato scoperto di poetico e di valido nei versi della Murabito da questo grande lettore! Poesie e commento di altissima qualità!

  3. Sempre del 2019 è il commento di Santuzza Quattrocchi.

    L’infelicità che diventa melodia. L’infelicità che diventa armonia. L’infelicità che diventa arte.
    Questo trovo nelle tue poesie.
    E poiché l’arte serve a me , e a chi ha fortuna di poterla gustare, per lenire il dolore, per renderlo accettabile, prendo spesso in mano questa raccolta di poesie.
    Quando l’eco del banale e del volgare viene a sconvolgermi nella fantasia e nell’entusiasmo, prendo in mano questa raccolta di poe-sie e il brivido che mi procura leggerle è già una “distrazione” dal dolore, una carezza dolce come musica.
    Poi , viene la voglia di rileggerle. Diventa quasi un vizio aggrapparsi ad esse e risentire le stesse sensazioni, sempre uguali e forti, quasi un sostegno alla vita.
    E viene voglia di impararle a memoria, per sentirle vicine, come avveniva per Leopardi, per appropriarsi della loro dolcezza, per scoprire dietro le frasi, a volte cupe a volte fulgenti, il bisogno di tenerezza, il rimpianto di epoche lontane: un grido che diventa nostro, per farne una corazza di bellezza, espresso in una lingua italiana, che mai avremmo sospettato potesse essere cosi coinvolgente.
    Perché, escludendo Pavese, Montale, Quasimodo, non osavo più accostarmi alla poesia italiana, così intrisa di banalità, quando non di enfasi.
    Affascinata dalla poesia e dalla prosa francese, dalla perfezione di quella grammatica, pilastro dei sentimenti più segreti e scavati nelle viscere, pensavo che solo il leggere nella lingua di Rimbaud mi poteva dare la misura del dolore , della ribellione, di tutti i “regrets” che un cuore umano può contenere e sopportare.
    Mi hai riconciliata con la lingua italiana, perché ne hai saputo trarre armonie, languori, esigenze, tutti incastonati in versi senza sbavature, senza sentimentalismi, semplici eppure profondi, ai quali è stato demandato il compito arduo di descrivere lampi di disperazione, sfumature di angosce, nascondendosi dietro metafore e dietro appigli rubati alla natura. Ed ecco i colori, il viola soprattutto, espressione del disincanto, ecco la luna intrisa di malinconia, il vento, una barca bretone, inviti d’ombra chiara, rete da pesca vuota ,il bruciore schietto dell’ortica.
    Mille ed una immagini che dipingono stati d’animo …
    La tua poesia più bella è, per me, quella che inizia: “Sono lenti i pomeriggi di marzo”. Almeno fino ad oggi. Poi ne scoprirò altre…

  4. E quello di Ivana Palomba.
    Tutti i commenti si riferiscono all’edizione cartacea. Grazie.

    Ho letto le tue poesie.
    Mi sono immersa in quelle parole, parole naufraghe, sussurrate dal vento che aspiravano ad essere accolte.
    Con quest’animo ho cominciato la lettura.
    Ho provato emozioni già dalla copertina con quel colore tenue e dolce, con foglie mosse dal vento come “le parole naufraghe”.
    Poi la citazione dotta che ti prepara a nuove scoperte e l’incipit che trasmette la sensibilità dell’autrice perché infonde nelle parole il loro senso più profondo.
    È stato un crescendo di emozioni: le sfaccettature dell’amore con più spine che rose; versi – quasi struggenti ballate; immagini, colori e colori; tristezza per il viola destinato a morire; dolcezza per un annullamento totale; vagheggiamento di promesse; il perdersi nel nulla dei sogni per trovare la pace che dà conforto e sconfigge la fredda ragione; l’alternanza delle stagioni: l’estate fatua come il sogno che non si ricorda al mattino, l’autunno che smorza i colori e prepara al triste inverno, metafora della vita al tramonto.
    Su tutto un impalpabile velo di tristezza, vaghezza di cose perdute, stanchezza, disperazione.

  5. Come mai tanti – soprattutto fra gli editori, che dovrebbero essere i competenti, in materia – non saltano sulla sedia, come mai non si accorgono del valore di queste composizioni, come mai non si precipitano a ricoprirti di lodi, magari rifiutando di pubblicarti, perché la poesia non ha mercato, ma almeno riconoscendo i tuoi meriti?

    Ammettiamo che esse siano brutte e piacciano a me, e a tanti altri, perché non capiamo niente di poesia. Se questa fosse l’ipotesi giusta, il problema sarebbe risolto. Ma è necessario fare anche l’altra ipotesi, e cioè che l’elenco precedente si riferisca a persone di gusto, che hanno letto, che hanno esperienza di vita e di letteratura. A questo punto, come si spiegherebbe il fenomeno?

    Ogni epoca ha i suoi moduli espressivi. Oggi qualunque ragazzotto è capace di capire la musica, se così vogliamo chiamarla, che trasmettono le radioline. Distinguono i cantanti, vanno in delirio per degli scalmanati che saltellano e berciano su palcoscenici temporaneamente innalzati negli stadi. Eppure, se resuscitasse un grande musicista come Beethoven e fosse portato (in catene, non ci sarebbe altro modo) in quello stadio, quella “musica” non la capirebbe. Il nostro tempo non capisce Bach, ed è il meno: ma non capisce nemmeno la musica lirica e le operette, che il competente giudica con una smorfia “popolari”. Perfino i musical americani, epifenomeno della lirica che mescola spettacolo e musica, presto saranno oggetto di archeologia musicale. Tutto questo significa che ogni epoca ha i suoi moduli espressivi, che divengono facili per i contemporanei e ardui per i posteri. Se pensiamo che tanti termini della musica sinfonica, e persino da camera, corrispondono a delle forme di danza, ci rendiamo conto che un tempo c’è stata gente che quella musica sarebbe stata capace di prenderla per musica da ballo.

    Ma questa barriera che il tempo erige fra ogni epoca e la successiva non è impermeabile. Se oggi nessuna persona di normale istruzione capisce un genere morto dai tempi di Virgilio, l’epica, ciò non vuol dire che nessuno capisca l’epica. Le persone colte hanno allargato il loro orizzonte al punto che sfuggono ai moduli del proprio tempo. O – più esattamente, mentre rifiutano o accettano alcuni dei moduli del loro tempo – sono anche in grado di accettare o rifiutare i moduli dei tempi passati. Fino ad avere non i vent’anni dei ragazzi che vanno in discoteca, ma i tremila anni di coloro che hanno apprezzato Omero mentre cantava per le strade; hanno ammirato la cultura e la forza espressiva di Dante; hanno sorriso con l’Ariosto; hanno pianto con Leopardi e si sono entusiasmati con Edmond Rostand. L’uomo di cultura è come se fosse nato secoli fa e non fosse mai morto. Quante volte ho parlato con ammirazione di Tucidide, prezioso compagno di strada nella comprensione della guerra e dell’umanità? E quante volte ho difeso il calunniato Machiavelli, appassionandomi in queste difese o in questi attacchi più di quanto non abbiano mostrato le mie righe. Perché di tutti gli uomini del passato – penso a Montaigne – ho visto l’intelligenza e l’umanità come cose contemporanee.

    Questo è un punto essenziale. Insegnando letteratura, ne davo questa definizione: “L’insieme delle opera che, in una determinata lingua, hanno avuto il plauso dei critici e sono durate a lungo nel tempo”. La differenza fra un’opera di successo e un classico è che la prima è applaudita in un certo anno e potrà essere dimenticata trent’anni dopo, mentre il classico è ammirato secolo dopo secolo. Anche se, col passaggio del tempo, si riduce il numero di coloro che sono capaci di capirlo. Chi legge oggi la Gerusalemme Liberata?

    Ecco ciò che potrebbe averti allontanata dal gusto dei contemporanei. La tua cultura e la tua comprensione degli affetti eterni, quelle che ti hanno resa così sensibile alla poesia di Virgilio e al dolore di Didone abbandonata, ti hanno in parte resa estranea al presente. La tua poesia – te l’ho detto molte volte – sarebbe piaciuta a Saffo, come la poesia di Saffo piace a te.

    Ma il mondo contemporaneo è troppo incolto per andare al di là della banalità di coloro che scrivono i testi delle canzoni. Ed è così lontano dalla bellezza classica, da credere che l’alternativa alla “banalità” di quei testi sia l’incomprensibilità, l’azzardo per l’azzardo nell’uso della lingua, l’originalità intesa come novità, quale che sia. Anche orrenda. E infine il disorientamento. Il jazz ha prodotto qualcosa di notevole, a suo tempo, ma progredendo è arrivato al “free jazz”, alle note buttate lì, come vengono vengono, senza progetto, senza armonia, senza arte, sperando che il miracolo della bellezza si produca da sé.

    Il tuo mancato successo, che rimarrebbe tale, credimi, anche se i tuoi testi fossero pubblicati da un grande editore, a sue spese, dipende dal fatto che tu sia non fuori mercato, ma fuori dall’orizzonte mentale dei tuoi contemporanei, soprattutto quelli che si credono colti ma non hanno digerito il passato, nel senso che non sanno “renderlo emotivamente presente”. E così non mi meraviglia il tuo successo con persino con i non addetti ai lavori, gente che non capirebbe una parola di latino o sgranerebbe gli occhi udendo il nome di Catullo.

    Perché chi non frequenta i salotti buoni giudica la tua poesia come avrebbe potuto giudicare le poesie di Saffo una contemporanea di Saffo: senza pregiudizi. E allora ecco capisce quello che non capirebbero i professori d’università o gli editori, che si precipiterebbero a cercare di incasellarti: tardo romantica? Neoclassica? Ispirata da Théophile Gautier o Baudelaire? Decadente? Senza vedere che ciò che ti ispira è una sensibilità che non segue nessuna moda e risponde soltanto alla verità: alla verità dei tuoi sentimenti, dei tuoi accostamenti, della tua passione vitale.

    Sono quasi contento del fatto che non ti si capisca. La tua lontananza da un’epoca di tremenda decadenza come la nostra mostra quanto tu sia classica, vera, massiccia e possente, come vero e possente era Omero. E infatti tu non puoi rileggere molti classici perché rischi ogni volta di piangere. Infandum iubes, regina, renovare dolorem.

    • Non riesco a comprendere cosa stia succedendo. Non riesco ad entrare nel blog, ma ricevo i commenti e li posso fare.

  6. AVVISO
    DA STAMANI NON POSSO ENTRARE NEL BLOG PER UN GUASTO MISTERIOSO. POSSO SOLO RICEVERE COMMENTI E SCRIVERLI DALL’ESTERNO, COME SE FOSSI UN LETTORE DEL MIO STESSO BLOG.

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