SHANGRI LA

SHANGRI LA

un articolo di Gianni Pardo

Nel 1944 uscì in Italia un film di René Clair, con protagonisti l’allora famoso Dick Powell e la bellissima Linda Darnell: “Accadde domani”. La trama è insolita: un giornalista riceve da un vecchio collega (che si scoprirà poi essere già morto) la copia del giornale del giorno dopo. Questo gli consente di correre sul luogo dell’evento importante prima ancora che accada, realizzando formidabili scoop e in conclusione trovando denaro e amore.

Io devo averlo visto quando avevo poco più di dieci anni, ma il film mi piacque tanto e mi fece una tale impressione che non l’ho mai dimenticato. Già sul momento desiderai vivamente di vedere film simili a quello. Ma simili a quello non è che ce ne siano stati molti. A memoria posso citarne due: “Shangri La” (titolo esatto “Orizzonte Perduto”) e “La vita è meravigliosa”, di Frank Capra.

Come molti che per questo divengono credenti (ma io avevo la scusante di essere un ragazzino) volevo tanto che qualcosa mi confermasse la possibilità di trascendere la prosa della vita. Il film fantastico rendeva per un momento possibile questa evasione.  E poi la storia di Shangri La era troppo bella per non sognare l’eterna giovinezza. Anche se il film si concludeva con l’amara lezione della realtà. Quando si vuole uscire dalla “Valle” del sogno, si è costretti a vivere la vita vera.

Né meno interessante mi apparve la tesi de “La vita è meravigliosa”, del 1946. Messaggio ottimistico a parte, è bella l’idea di sviluppare l’ipotesi: “E se Tizio non fosse mai nato”? I rapporti tra gli uomini costruiscono una tale rete di interazioni che probabilmente, modificando un singolo fatto, forse se ne cambierebbero decine di altri, a cascata. Quello che chiamano “effetto farfalla”. Se Hitler non fosse stato un mediocre pittore e fosse stato accettato dall’Accademia di Vienna, probabilmente sarebbe vissuto della sua arte e di lui non avremmo mai sentito parlare. Con qualche mutamento nella storia del mondo.

Fra gli amici mi sono fatto un nome come un estremista del realismo, fino al cinismo, se occorre. E tuttavia in questo sono simile a Flaubert. Gustave era talmente romantico nel fondo (“Madame Bovary, c’est moi”) da divenire per reazione l’anti-romantico per eccellenza. Per non soccombere, come la sua eroina, sotto le macerie dei suoi sogni.

Non è un’esperienza rara. Chi è nato sognatore è così costantemente deluso dalla realtà da concepire una sorta di rancore per l’irrealtà. Perché è una minaccia al suo equilibrio, così faticosamente conquistato. “Non mi raccontate la storia di Cenerentola, nessuna Cenerentola diviene regina. Nessuna prostituta diviene Pretty Woman. L’affabulazione ottimistica è una beffa”.  Per non soffrire più, bisogna uscire dalle proprie fantasticherie.

Oggi sono così lontano dall’irrealtà che non sopporto i film d’amore fra imbecilli: l’amore è un capolavoro di saggezza, di generosità, di raffinatezza, il resto è attrazione sessuale e continuazione della specie. La fantascienza non ha senso: il futuro ci rivelerà da un lato possibilità impensate e dall’altro impossibilità impreviste. Le  prodezze di uomini che volano e fanno altri miracoli, la saga dell’uomo singolo che vince contro cento, ed altre stupidaggini sono soltanto adatte a scardinare i fondamenti del buon senso.

Rousseau – come sempre avvocato delle cause sbagliate – si è battuto contro il teatro perché lo trovava maestro d’immoralità: i figli di Harpagon avrebbero dovuto rispettare di più quel folle avaro del loro padre. In realtà, non è vero che tutte le storie che ci raccontano il teatro, il cinema e la televisione sono immorali, ma è vero che sono quasi tutte inverosimili. Ad esempio, tutti gli innamorati sono giovani e belli, o almeno fascinosi. E com’è che quand’ero al liceo – il tempo in cui si ha “la bellezza dell’asino” – tutte le femmine e tutti i maschi (me compreso) della mia classe mi sembravano bruttini? Quale regista mai avrebbe scelto due di noi per rappresentare la vicenda di Giulietta e Romeo?

L’autore della fiction si trasforma in un Dio che può determinare l’andamento delle vicende, adattandole all’immaginario collettivo e ai suoi sogni. Ed è soprattutto un commerciante che, accortosi che il “happy ending” attira il pubblico, è indotto a falsificare il normale andamento della vita.

La realtà è prosaica e spietata. E tuttavia, dopo aver digerito questo dato, c’è ancora modo di essere felici. Ve l’assicuro. Basta partire dalle premesse giuste.

Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

 

SHANGRI LAultima modifica: 2021-09-26T14:18:06+02:00da helvalida
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6 pensieri su “SHANGRI LA

  1. Gianni, grazie di avermi riportato alla memoria “Accadde domani”. Non l’ho mai visto, ma ricordo che mio padre me ne parlava con nostalgia, e una volta non era possibile poter rivedere vecchi film a proprio piacimento. Oggi si puo’, l’ho appena scaricato e me lo guardero’ stasera, in memoria di mio padre.

    Ora, parlando della sua antipatia per la fantascienza. Capisco ed apprezzo il suo realismo e il suo ribrezzo per i supereroi volanti. Ma la fantascienza non e’ solo questo. A volte confina con la filosofia, la sociologia, la satira di costume. Basti ricordare “1984”, ad esempio. Oppure “Brave new world”, di A. Huxley. E che dire delle “Cronache Marziane” di Bradbury, e del suo “Farenheit 451”? E dei racconti fanta-filosofici di C.S. Lewis?
    Perche’ respingere integralmente un genere letterario, cosi’, tout-court? Solo per colpa dei mostri spaziali ed i supereroi?

  2. Caro Nicola,
    dei libri che lei cita ho letto soltanto il Brave New World, che non ho mai dimenticato. Non sono tanto ostile alla fantascienza, quando è FANTAscienza, cioè quando si tratta di pura invenzione senza pretese scientifiche, quanto a quel genere di fiction quando si presenta come fantaSCIENZA. I bambini nati tutti in vitro, come nel Mondo Nuovo, sono una cosa dopo tutto possibile, e infatti Il Brave New World ipotizza uno sviluppo della società attuale. Un altro conto è – non so più come si chiama – il trasferimento ad una velocità superiore a quella della luce. In quel caso il presupposto di qualunque vicenda è insostenibile, e il mio realismo si ribella ad ogni riga. Se soltanto leggessi il libro.
    Ma in fondo forse è soltanto questione di gusti. Da tempo quasi non sopporto più nessun genere di fiction. Se un’opera è artistica sono disposta a rivederla più volte, ma il racconto in sé e per sé mi lascia indifferente. E infatti posto lasciare quasi qualunque film a metà senza la curiosità di sapere come va a finire.
    Il mio senso del reale, come in fondo ho detto in Shangri La, è una conquista. Per questo posso leggere le favole dei fratelli Grimm (sono andato a cercarmele perfino in tedesco!) ma non posso vedere un film su Pearl Harbour o Oliver Cromwell perché temo sempre che mi forniscano una versione di parte oppure “hollywooddizzata” delle cose. Per la storia vale soltanto il libro di uno storico serio, e ancor meglio un paio di libri diversi di storia sulla stessa vicenda. Ma divago. Mi scusi.

  3. Neanche io amo molto la fantascienza. Peter Patti mi ha “costretta” a scrivere con i suoi “Canachi” la recensione più appassionata che io abbia mai scritto, ma “Transits”, il suo secondo romanzo, non mi ha suscitato lo stesso entusiasmo. Eppure è un libro scritto con una professionalità e una perizia da mozzare il fiato, senza una goffaggine, senza un cedimento. È l’argomento che non tocca le mie corde.
    Però non ho le idee chiare. Perché “1984” è un grande libro (di fantapolitica più che di fantascienza) e per un film ingenuo come ET ho pianto.
    E l’uomo solo che abbatte cento nemici è un sogno eterno, dagli eroi omerici al mito di Ercole, capace di imprese sovrumane, fino all’enfatizzazione volgarizzata dei film di Tarantino in cui una donna guerriera compie azioni altrettanto inverosimili per vendicare un’ingiustizia. È “fantascienza”, è fantasia, è impotenza dell’essere umano che sogna di non soccombere alla sopraffazione.

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