ITALIANI

di Giuseppe Alù

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RECENSIONE di Anna Murabito

Ci sono scritti che uno vorrebbe vedersi presentare al naturale, senza cellophan. Come un bel cesto di pesche, ancora con la loro foglia: una più acerba, una più colorita, qualcuna perfetta per forma e profumo. Invece tutta quella carta crespata e i fiocchetti e le descrizioni: “Invenzioni e Immagini della Natura. Proprietà organolettiche, antiossidanti e calorie …” . Sono pesche, e uno vorrebbe subito tuffarvi il naso. 

È il caso di Italiani di Giuseppe Alù, una raccolta di diciotto racconti, dove anche il titolo appare ridondante. Sarebbe bastato Racconti di Giuseppe Alù. Niente titolo e niente sottotitolo. “Graffiti di vita e passioni”: che bisogno c’è?. Uno scrittore con poche frecce al suo arco potrebbe trarre vantaggio da questi infiocchettamenti. Ma Giuseppe Alù non ne ha bisogno.

E non ha bisogno nemmeno dell’intervento editoriale di poche righe che riassume (molto sommariamente e liberamente) gli argomenti. Cosa da evitare, a mio parere: il racconto, come la poesia, deve rappresentare la sorpresa che avvince, e l’argomento nulla dice rispetto allo “svolgimento”. L’elenco, con la funzione di lettura guidata, non serve. Il commento, semmai, è un’altra cosa. “Ognuno … avanza con sicurezza verso non si sa dove”, si  dice un po’ pomposamente in questa presentazione, come ignorando che si tratta della condizione umana, “stordito forse dall’eccessiva accelerazione della Storia”. Accelerazione. Fruiscono di essa anche il protagonista de Il Maiale? Anche l’Avvocato de Il vincitore? Anche Lucio Sergio Catilina? E a quale accelerazione della Storia si allude? Quella che precipita il mondo negli orrori delle trincee, dei massacri e delle spoliazioni? Quella che induce il Congresso statunitense a votare contro l’aborto di Stato? Le sintesi editoriali, dettate dal mestiere e scritte per dovere, non rendono spesso un buon servizio all’autore.

Che poi le vicende narrate riguardino gli “Italiani” è discutibile. E non so se il titolo del libro viene scelto dall’autore o imposto dall’editore. La raccolta non mi sembra affatto la naturale continuazione di Tedeschi, un libretto brillante ed aneddotico sui vizi e i vezzi dei nostri vicini del Nord. Non sono racconti, in quel caso: sono episodi di vita corrente, osservazioni e considerazioni. Sono “Quadretti di un’esposizione”, come dice bene il sottotitolo. Il contenuto di questa nuova raccolta, invece, non ha niente a che vedere con “gli italiani” come popolo, come storia e come attualità. Ha a che vedere con l‘eterno sentire degli esseri umani. Racconti come La sigaretta, Oroscopo, Vendere, sono esempi troppo esili e generici per potere rappresentare un affresco dell’odierna società italiana.

Sto già parlando delle pesche, e meno male. Perché ci sono pesche magnifiche nel cesto. C’è l’idea stessa della pesca in due tre racconti tra i più belli letti in tutta la mia vita. Non riprenderò il mio commento di Notturno e de Il maiale. Ricordo che era Pasqua ed io trascuravo il pranzo festivo: parole incandescenti mi bruciavano le dita, esprimevano la mia irrefrenabile meraviglia (Notturno).

https://expressioni.myblog.it/2020/08/15/notturno/

E mesi dopo ho trattenuto il fiato per ascoltare il silenzio intriso d’orrore di quel thriller caravaggesco che è Il Maiale.

 https://expressioni.myblog.it/2020/08/16/il-maiale-sec-xvii/

 Quando lo scrittore è in uno stato di grazia ascolta solo sé stesso. La società, su cui tanto oggi si fa affidamento, appare come trascurabile sovrastruttura.

Non segue la moda neanche La Bohème, incantevole esempio di narrazione classica nella sua misura, nel suo garbo senza cedimenti. L’autore si spoglia dei suoi titoli, ridiviene ragazzo che scopre la musica e ci fa commuovere.

Saverio lo metterei al quarto posto. Un racconto in cui contano i fatti e le parole conseguono, secche e volutamente banali (a parte i lampioni scuri contro un cielo di perla). Una narrazione precisa e geometrica, tutta di testa. Se ai sentimenti attinge, sono quelli lividi della paura, dell’angoscia, dell’ansia che fa scoppiare il cuore. Sta qui il maggiore merito del racconto: la creazione di un clima di tensione spessa da cui si vorrebbe uscire prima che diventi insopportabile; l’attesa di un avvenimento oscuro e violento. Il protagonista, che brillantemente ha ricostruito tutta la dinamica degli eventi, sa di non avere vie di scampo. Ne esce con la pace della morte, una banconota da centomila lire in tasca, bandiera di un sogno nero. Ricorda certe atmosfere di Brian De Palma.

Questi sono racconti inequivocabilmente artistici.

Quando l’autore si affaccia sulla società contemporanea, invece, le cose cambiano. Non che venga meno la perizia di scrittore di Alù, ma i temi rimangono esterni all’autore. È come se si fosse assegnato un compito e lo svolgesse. Bene, naturalmente, ma sempre di un compito si tratta.

Davide, per esempio, è il rappresentante di una gioventù fragile, sbandata e scervellata, con rivalse da mettere in atto contro una malattia frequente, la carenza d’affetto. Una società disorientata e imbelle lo blandisce e lo cura. Lui “ringrazia” imbrattando i muri, da impotente possiede pareti vergini, mentre vaneggia di uguaglianza. Sembra un personaggio creato apposta per un mondo in cui non esistono più responsabilità personali, ma la colpa è sempre “di qualcun altro”. È debole, nevrotico border line. È edipico e feticista. Nel suo caso la “colpa” è della madre (cherchez la femme): ha cercato il successo fuori dall’ambiente domestico invece di occuparsi del figlio, e non le è andata neanche bene. Ed eccola qua, questa povera donna sconfitta più di una volta: dalla sua ricerca di successo, dal suo insuccesso, dal “disastro” che ha provocato. Il personaggio di Davide è sfocato eppure prevedibile perfino nelle sue fumose idee di uguaglianza nella follia generale, così vicine al vaniloquio di tanti giovani. L’autore non ci aiuta: esamina e descrive fatti e stati d’animo, senza decidere da che parte stare. La sua ambiguità ci porta a rimpiangere Notturno, implacabile, crudo, senza aurore alla fine.

Questi cedimenti alle mode attuali, che vedono nel “sociale” la fonte di ogni ispirazione, determinano i racconti meno riusciti. C’è invece in Giuseppe Alù una vena “nera” autentica che forse gli deriva dai suoi anni attivi nella magistratura. Il delitto, il processo, la violenza entrano naturalmente a far parte delle sue narrazioni (La vecchia bambina, In pizzeria, Il processo). Ed affiora qua e là anche uno spirito acre e beffardo, amante del paradosso e del ghigno. Tra i racconti difficilmente inseribili in un filone affiora una piccola perla come Gelmina, con le sue atmosfere stralunate e provinciali, a metà strada tra Buzzati e Fellini.

Al di là della diversità dei temi, il lato migliore della scrittura di Alù è la capacità di descrivere atmosfere incalzanti e serrate, il gusto quasi musicale del crescendo, la sospensione ovattata in cui la vicenda si svolge. Migliori i racconti di osservazione, in itinere, senza una conclusione obbligata, rispetto a quelli in cui l’autore vuole portare a forza il lettore verso il suo pensiero. A questo proposito l’ultimo racconto è veramente un azzardo. Alù ha detto subito che si tratta di un sogno. Un sogno crudele e sconvolgente (L’incontro di boxe). Alla fine, quando si sveglia, finge di non averne capito il significato. Ma poi all’improvviso lo capisce e chiede ai lettori. “E voi capite?”.

Credo che, mentre sta scivolando sul sangue che scorre sul pavimento del ring e lungo le pareti dell’incubo, il lettore voglia fare i propri accostamenti mentali senza che nessuno glieli suggerisca. Pensare per esempio a un Kafka in abiti gotici, all’universale linguaggio dell’angoscia, piuttosto che sforzarsi di capire quello che l’autore dice di aver capito. Il lettore vuole percorrere strade vergini, non quelle troppo battute delle vicende domestiche e della fazione politica.

Anna Murabito    annamurabito2@gmail.com

ITALIANIultima modifica: 2022-06-30T15:25:10+02:00da helvalida
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Un pensiero su “ITALIANI

  1. Cara Anna, ho letto la tua Recensione al mio libretto ITALIANI. Non so che dire. Nelle tue parole c’è tutta l’intelligenza e tutta la sensibilità che ormai
    fanno parte della mia biblioteca privata. Sono tutte considerazioni perfettamente plausibili ed acute che escludono commenti al commento. Grazie per la cura e per la serietà assoluta del tuo esame. Tra le pesche del cesto caravaggesco che hai evocato sai scegliere i frutti più attraenti, sai metterli sotto un faro di luce che penetra dentro la polpa e ne esalta il poco valore che può esservi. Penetri con assoluta perfezione il cuore di ogni scritto. E’ la tua più grande qualità dopo la capacità di fare poesia. Sono onorato che una persona come te abbia letto con occhi illuminati dall’impegno le parole dei miei racconti. Non meritano e forse non valgono simili straordinarie valutazioni. Per non parlare delle Recensioni del passato sui racconti Notturno e Maiale a dir poco entusiasmanti. Dirti grazie è riduttivo. Nessuno analizzerà i miei scritti come hai fatto tu, con la sapienza assoluta della tua personalità. Grazie.
    Un abbraccio.
    Giuseppe.

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