MUSICA 3

Lettera a un’amica

Ascolto molto Mahler in questo periodo. Fu un uomo molto sensibile e infelice nella vita privata. Sicuramente travagliato nella produzione artistica, col cuore nell’‘800 e lo sguardo nel ‘900. Capace tuttavia di dare un brivido della mente per la capacità di mantenersi in bilico tra i due secoli. Allunga le sue eleganti melodie, le stira, le dilata per opera di specchi deformanti non brutali, poi le ritrova vive e forti e le avvolge come un vestito nuovo intorno alle note chiare di canti popolari che sembrano appartenere a tutti, da sempre. Le allarga come soffiandoci dentro dolcemente e implacabilmente nei suoi lunari “adagio” in cui il tempo non esiste: sembra un atto d’amore senza fine. O le sopisce, le rallenta fino a farle tacere e le sotterra infine nel sentimento della morte che circola in tanta parte della sua opera.

Foto Mahler

Oso parlare di musica e commetto un doppio errore. Qualunque competente potrebbe rimproverarmi infinite inesattezze e tu potresti dirmi che dico cose oscure.

La volta scorsa ti ho definita un titano femmina, cioè un essere umano  materno e carezzevole, ma capace, per forza ed ardimento, di compiere imprese sovrumane. Per questo ho pensato a te, perché “Il Titano”, con la t maiuscola, è la Prima Sinfonia di Gustav Mahler. Anche se lui non si riferiva a un titano come te, ma al protagonista di un romanzo.

“Il Titano” mi appare come una sinfonia più luminosa che ombrosa. O almeno si sa che il sole c’è e lo si vede nelle chiazze chiare sul terreno morbido del sottobosco. Si sa anche che da qualche parte c’è l’acqua che scorre, e che la si può bere. Ed ho trasgredito, perché la natura non c’entra niente con la musica, che è astratta. Posso dire però che gli affanni, quelli duri, tacciono in questa sinfonia che ha la semplicità di una lunga elegante camminata attraversata da umori vitali. Non per niente le melodie sono tratte dai “Canti di un uomo che viaggia”.

Forse quegli umori che Abbado, con il viso consumato dal sudore e minacciato dagli zigomi, inseguiva e respirava, nel tentativo di fermare il tempo. Non ci riusciva. E lo sapeva. Trasmetteva agli astanti la commozione straziante di una vita che si inchinava ad adorare una bellezza che presto non le sarebbe più appartenuta. Alludo agli ultimi concerti, quelli che tenne  con l’Orchestra del Festival di Lucerna, probabilmente già sotto morfina. E quella stessa bellezza, che ai normali ascoltatori era sembrata “facile”, accessibile, cantante e danzante come le cose riuscite dell’esistenza, comparata col viso del grande direttore può essere apparsa come inutile non senso, ingannevole sovrastruttura di fronte ad una verità più potente, ineluttabile e tragica. La musica ti può apparire come bellezza o come non senso. La morte non ti appare in un modo o in un altro. È il nulla, il pozzo nero in cui cadono tutte le cose.

La morte è apparsa più volte nei pensieri non “scherzosi” di questa lettera. Forse non esistono lettere “facili”, quando non ci si limita ai convenevoli. Inoltre mi sento inappropriata e poco saggia quando vorrei a poco a poco attirarti nel mio mondo, dicendoti: “Sai, dovresti ascoltarla, questa sinfonia, guarda Abbado: rispetta la musica, l’accarezza, le lascia spazio, la venera, si lascia ferire e poi la perdona per offrirsi di nuovo, fino a farsi sconfiggere, fino a farsi annientare. È un atto d’amore estremo”.

Lo so, le parole non sono adeguate a parlare di musica. E mi sovviene la barzelletta, un evergreen, in cui l’avventore entra in un bar e continua a chiedere le brioches, insieme a bevande ogni volta diverse, ad un barista sempre più esasperato che continua a ripetergli che non ci sono brioches. “E come è finita?”, chiede l’amico a cui il barista raccontava la singolare vicenda. “Francamente gli avrei tirato in faccia il vassoio con tutte le brioches”.

Non so chi di noi due fa volare il vassoio. Tu, credo. Sei più adatta. Come quella sera che, vestita bene e col tuo migliore accento, avanzavi minacciosa verso un manigoldo in canottiera sibilandogli: “Cosa vorrebbe fare, picchiarmi?”. Io ti tiravo via, mi prendevo cura della tua dentatura. Sai, non sono neanche sicura che la barzelletta sia perfettamente aderente a questo contesto. Ma che importa? Le lettere non sono teoremi, e questa, soprattutto, riserva solo uno spazio relativo alla logica.

Anna Murabito     alimarbit@yahoo.com

 

 

MUSICA 3ultima modifica: 2020-08-03T12:39:18+02:00da helvalida
Reposta per primo quest’articolo